mercoledì 26 marzo 2014

LUNEDÌ 7 APRILE 2014 SCIOPERO NAZIONALE POSTE ITALIANE indetto da Cobas Poste e Cub Poste.



Che si volesse arrivare alla vendita di Poste italiane era chiaro; da sempre abbiamo denunciato ogni iniziativa, accordo o forma di gestione che andasse in tale direzione.
Oggi abbiamo la conferma che le nostre analisi
erano nel giusto ed i timori fondati.
La cessione del 40% dellazienda, come primo passo verso la completa privatizzazione, non arriva quindi, come una sorpresa.
E non sorprende nemmeno la leggerezza ed approssimazione con la quale una decisione di tale portata viene presentata e gestita ne la studiata indifferenza dei mezzi di informazione.
Non sono fornite indicazioni sui modi nei quali tale cessione si attuerà; quali saranno gli acquirenti; quale sarà il futuro dei 150.000 dipendenti di Poste Italiane e quale quello del servizio universale e dei servizi di bancoposta.
Non potendo credere alla motivazione legata allabbassamento del debito pubblico, (2.068 mld vs 4-5), appare evidente come la vendita di unazienda che fa utili considerevoli ormai da anni, non possa che essere lennesimo regalo e scambio di favori tra potenti.
La totale incertezza genera nei lavoratori e lavoratrici una forte preoccupazione ed un senso di ansia per il futuro.
Tutto questo va ad aggravare una situazione che, già allo stato attuale, si presenta insostenibile per dipendenti ed utenti di Poste italiane.
I disservizi nel settore del recapito, il calvario insostenibile davanti agli sportelli degli uffici postali e linadeguatezza nella gestione della logistica, sono ormai la regola su tutto il territorio nazionale.
È ovunque tangibile la giusta insofferenza dei cittadini-utenti di Poste italiane.
Con continue scelte sciagurate di azienda e sindacati della concertazione, mai messe in discussione, si continuano a caricare sulle spalle dei lavoratori di tutti i settori, sempre nuove lavorazioni e responsabilità, con aumenti incontrollati del carico di lavoro e senza alcun riconoscimento economico, spesso senza una programmazione ed indicazioni operative certe ed univoche.
In tutte le sedi di lavoro si tocca con mano la sofferenza dei lavoratori che, in molti casi, si presenta come un vero malessere.
È sempre più difficile e diverrà impossibile, in particolare per le donne, conciliare i tempi e le energie tra lavoro in azienda e lavoro a casa.
A fronte di tutto questo, il controllo dell’azionista unico di Poste, il Ministero dell’Economia, è stato del tutto assente e, oggi, se ne comprende il motivo e si hanno le conferme di quanto da sempre denunciamo.
PER PRIVATIZZARE UN SERVIZIO PUBBLICO
E SVENDERE UNA GRANDE AZIENDA,
È NECESSARIO CHE IL CONTROLLO DELLO STATO VENGA MENO.
È necessario che il fruitore del servizio inizi a considerarlo inefficace e inutile, che si faccia strada la convinzione, riproposta ad arte in ogni occasione da politici e imprenditori attraverso i mezzi di informazione, che privato “è bello” che privato “è meglio”.
A questo serve lo sfascio continuo del recapito e, in parte per ora, anche del bancoposta, portato avanti in modo mirato ed ininterrotto da più di 10 anni.
Quando la gente non avrà più fiducia in Poste Italiane, quando chi difende questo bene della collettività, dovrà lottare anche con la rabbia di utenti male informati, allora sarà arrivato il momento per cancellare definitivamente tutto ciò che Poste Italiane offre e rappresenta.
CONFERMIAMO LA NOSTRA TOTALE CONTRARIETÀ A QUESTA OPERAZIONE E AD OGNI SCELTA CHE VADA NEL SENSO DI UNA CESSIONE, PRIVATIZZAZIONE O TRASFORMAZIONE DEI SERVIZI DI RECAPITO, LOGISTICA E BANCOPOSTA.
È necessario difendere l’occupazione, la qualità del lavoro e dei servizi offerti che sarebbero irrimediabilmente compromessi dalla cessione a privati.
Ribadiamo che i servizi pubblici e i beni comuni non devono essere toccati; che Poste Italiane deve continuare, come ente pubblico, a garantire quanto sancito dalla Costituzione, in merito ai diritti alla comunicazione ed alla tutela del risparmio.
Per la ripubblicizzazione dell’azienda, in difesa degli interessi di lavoratori e cittadini,
LUNEDÌ 7 APRILE 2014 SCIOPERO NAZIONALE DI TUTTI
I LAVORATORI E LAVORATRICI DI POSTE ITALIANE.

martedì 25 marzo 2014

I Cobas attaccano l’Unione dei Comuni: “I corsi di italiano per gli stranieri non sono partiti. Docenti e mediatori sono in attesa di risposte”


L'Unione dei Comuni Circondario dell'Empolese Valdelsa continua a non funzionare e a danneggiare i cittadini e i lavoratori. Il 6.8.2013 viene approvato, con Delibera n. 45, il Piano accoglienza e inclusione dei cittadini migranti adulti nel Territorio per il periodo ottobre 2013-giugno 2015.
Ogni Comune stanzia diligentemente un po' di soldi affinché vengano realizzati corsi gratuiti di lingua italiana per cittadini stranieri e un servizio di interpretariato.
I corsi di lingua italiana sono il primo passo verso una completa integrazione dei cittadini migranti; come possono infatti far valere i loro diritti, essere informati su quel che accade, partecipare attivamente alla vita sociale se non conoscono la lingua del paese di accoglienza?
Il servizio di interpretariato, attivo nei vari Comuni, ha una doppia valenza: da un lato funge da supporto ai cittadini migranti nello svolgimento di pratiche legate alla vita quotidiana, dall'altro aiuta tutti gli uffici comunali a fare in modo che ogni cittadino sia correttamente informato su diritti, doveri, avvenimenti etc.
Per il servizio di interpretariato viene indicato nel progetto il monte ore (poche, per la verità).
Per i corsi viene indicata la data di decorrenza: Gennaio 2014.
Inoltre entrambe queste attività costuiscono una forma di lavoro per docenti e mediatori e in questo periodo di profonda crisi economica ci sembra un atto scellerato traccheggiare.
In data 21.2.2014 abbiamo inviato richiesta scritta al Dirigente preposto dell'Unione dei Comuni per avere notizie sull'avvio di questi progetti.
Non abbiamo ottenuto alcuna risposta, nemmeno di cortesia.
Pertanto oggi lo chiediamo pubblicamente:
A CHE PUNTO SIAMO?
QUAL'E' IL PROBLEMA?
Quanto ancora dobbiamo aspettare per veder realizzato un diritto?

Cobas Empoli Valdelsa
“L’Unione dei Comuni Circondario dell’Empolese Valdelsa continua a non funzionare e a danneggiare i cittadini e i lavoratori. Il 6.8.2013 viene approvato, con Delibera n. 45, il Piano accoglienza e inclusione dei cittadini migranti adulti nel Territorio per il periodo ottobre 2013-giugno 2015. Sono previsti corsi gratuiti di lingua italiana per cittadini stranieri e un servizio di interpretariato. I corsi di lingua italiana sono il primo passo verso una completa integrazione dei cittadini migranti; come possono infatti far valere i loro diritti, essere informati su quel che accade, partecipare attivamente alla vita sociale se non conoscono la lingua del paese di accoglienza? Il servizio di interpretariato, attivo nei vari Comuni, ha una doppia valenza: da un lato funge da supporto ai cittadini migranti nello svolgimento di pratiche legate alla vita quotidiana, dall’altro aiuta tutti gli uffici comunali a fare in modo che ogni cittadino sia correttamente informato su diritti, doveri, avvenimenti etc. Per il servizio di interpretariato viene indicato nel progetto il monte ore (poche, per la verità). Per i corsi viene indicata la data di decorrenza: Gennaio 2014. Inoltre entrambe queste attività costituiscono una forma di lavoro per docenti e mediatori e in questo periodo di profonda crisi economica ci sembra un atto scellerato traccheggiare. Ma ad oggi il progetto non è iniziato; non ci sono i corsi di lingua italiana (qualcosa si tenta, come a Castelfiorentino, ma il corso base per donne è della durata di sole 20 ore e a numero chiuso, così molte persone sono rimaste escluse) e non ci sono i mediatori nei Comuni. In data 21.2.2014 abbiamo inviato richiesta scritta al Dirigente preposto dell’Unione dei Comuni per avere notizie sull’avvio di questi progetti. Non abbiamo ottenuto alcuna risposta. Pertanto oggi lo chiediamo pubblicamente: A CHE PUNTO SIAMO? QUAL’E’ IL PROBLEMA? Quanto ancora dobbiamo aspettare per veder realizzato un diritto? Cobas Empoli Valdelsa

Leggi questo articolo su: http://www.gonews.it/2014/empolese-valdelsa-i-cobas-attaccano-lunione-dei-comuni-i-corsi-di-italiano-per-gli-stranieri-non-sono-partiti-docenti-e-mediatori-sono-in-attesa-di-risposte/#.UzFyNknSAo1
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“L’Unione dei Comuni Circondario dell’Empolese Valdelsa continua a non funzionare e a danneggiare i cittadini e i lavoratori. Il 6.8.2013 viene approvato, con Delibera n. 45, il Piano accoglienza e inclusione dei cittadini migranti adulti nel Territorio per il periodo ottobre 2013-giugno 2015. Sono previsti corsi gratuiti di lingua italiana per cittadini stranieri e un servizio di interpretariato. I corsi di lingua italiana sono il primo passo verso una completa integrazione dei cittadini migranti; come possono infatti far valere i loro diritti, essere informati su quel che accade, partecipare attivamente alla vita sociale se non conoscono la lingua del paese di accoglienza? Il servizio di interpretariato, attivo nei vari Comuni, ha una doppia valenza: da un lato funge da supporto ai cittadini migranti nello svolgimento di pratiche legate alla vita quotidiana, dall’altro aiuta tutti gli uffici comunali a fare in modo che ogni cittadino sia correttamente informato su diritti, doveri, avvenimenti etc. Per il servizio di interpretariato viene indicato nel progetto il monte ore (poche, per la verità). Per i corsi viene indicata la data di decorrenza: Gennaio 2014. Inoltre entrambe queste attività costituiscono una forma di lavoro per docenti e mediatori e in questo periodo di profonda crisi economica ci sembra un atto scellerato traccheggiare. Ma ad oggi il progetto non è iniziato; non ci sono i corsi di lingua italiana (qualcosa si tenta, come a Castelfiorentino, ma il corso base per donne è della durata di sole 20 ore e a numero chiuso, così molte persone sono rimaste escluse) e non ci sono i mediatori nei Comuni. In data 21.2.2014 abbiamo inviato richiesta scritta al Dirigente preposto dell’Unione dei Comuni per avere notizie sull’avvio di questi progetti. Non abbiamo ottenuto alcuna risposta. Pertanto oggi lo chiediamo pubblicamente: A CHE PUNTO SIAMO? QUAL’E’ IL PROBLEMA? Quanto ancora dobbiamo aspettare per veder realizzato un diritto? Cobas Empoli Valdelsa

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lunedì 24 marzo 2014

La vendita di quote Poste Italiane spa non è una soluzione, ma un problema!


Dopo i molteplici pacchetti “anti-crisi” imposti dai più svariati governi, dopo la demolizione di servizi sociali come istruzione e sanità, ora tocca a poste. Il Governo riapre il mercato alla vendita del patrimonio collettivo e approva il decreto della svendita di Poste Italiane ai privati.
I privati non si occuperanno di migliorare i servizi perché badano solo al profitto, unico loro interesse.
Sicuramente non manterranno aperti tutti gli uffici postali, la cui diffusa capillarità è uno tra i principali punti di forza di questa azienda, e opteranno per la chiusura di quegli uffici che svolgono egregiamente il loro ruolo sociale, risparmiando in questo modo sulla forza lavoro. L’occupazione non sarà garantita e dovremmo aspettarci le forti riduzioni di personale che seguono ogni privatizzazione.
Per privatizzare un servizio pubblico e svendere una grande azienda è necessario che il controllo dello Stato non ci sia.
È necessario che la gente inizi a considerare il servizio inefficace e inutile, che si faccia strada la convinzione, riproposta ad arte in ogni occasione da politici e imprenditori attraverso i mezzi di informazione, che privato “è bello”, che privato “è meglio”. A questo serve lo sfascio continuo del recapito e, in parte, anche del bancoposta, portato avanti in modo mirato ed ininterrotto da più di 10 anni. Quando la gente non avrà più fiducia in Poste italiane, quando chi difende questo bene della collettività dovrà lottare anche con la rabbia di utenti male informati, allora sarà arrivato il momento per cancellare definitivamente tutto ciò che Poste italiane offre e rappresenta.
Mai come ora sono a rischio i nostri posti di lavoro e i nostri diritti.
Ma la “partita” non è persa. Non è vero che la privatizzazione di poste sia accettata da tutti, a cominciare dai sindacati di base, dai lavoratori, da importanti economisti, da associazioni e dai cittadini/risparmiatori.
Sabato 29 marzo ore 11 presidio informativo con conferenza stampa davanti alla coop di Gavinana (Firenze)
Lunedì 7 aprile 2014 sciopero nazionale di tutti i lavoratori di Poste italiane.
PRESIDIO A FIRENZE ore 9 IN PIAZZA REPUBBLICA
CUB-poste Cobas lavoro privato settore Poste
www.cobasposte.it - cobaspostefi@gmail.com

domenica 16 marzo 2014

Governo Renzi:dietro agli 80 euro la precarizzazione del lavoro e la distruzione degli ammortizzatori sociali


Questa norma va assolutamente modificata. Rischiamo di avere un’esplosione di contratti a tempo determinato di durata molto breve (una settimana o un mese) con lavoratori che perdono il lavoro senza alcuna assicurazione sociale. I contratti di una settimana, anche con il sistema di sussidi di disoccupazione più generoso del mondo, non danno infatti diritto a copertura assicurativa.

Non siamo noi a scrivere questo atto di accusa ma i professori \economisti moderati del sito Lavoce.info che contestano duramente la precarizzazione del mondo del lavoro nel caso in cui dovesse essere approvato dal parlamento il decreto su contratti a termine e apprendistato.

Ecco alcuni esempi

Fino ad oggi un contratto a termine privo della causale poteva durare 12 mesi, la acausalità ha permesso alle aziende di ricorrere al tempo determinato per svariati motivi e senza l'obbligo di fornire una giustificazione (legata alla stagione, a esigenze aziendali come l'arrivo di commesse straordinarie...) , contratti a tempo a discapito di assunzioni a tempo indeterminato. La proposta Renzi vuole portare da 12 a 36 mesi la durata massima dei contratti a termine acausa
Una sola proroga era possibile dopo un contratto a tempo determ. di 36 mesi, del resto le proroghe sono da sempre uno strumento nelle mani delle aziende per evitare la stabilizzazione dei precari. La proposta di Renzi arriva fino ad 8 proroghe, insomma il contratto precario viene dilatato e sfugge ad ogni controllo
a seconda della durata tra un contratto a tempo e l'altro dovevano passare 10 o 20 giorni (il termine della Fornero originariamente era di 60 e 90 giorni ), per Renzi e Poletti non viene prevista pausa alcuna, quindi si darà la possibilità di reiterare senza alcun limite\controllo il contratto a tempo
I contratti collettivi nazionali prevedevano alcuni limiti all'utilizzo dei contratti a termine, magari c'era il sistema delle deroghe ad aggirare i contratti nazionali, oggi l'obiettivo è quello di istituzionalizzare la presenza di un quinto dei lavoratori con contratto a tempo, insomma in un azienda di 100 dipendenti ben 20 potranno essere a tempo determinato
L'apprendistato (regolato dal decreto legge 276\03) è stata sicuramente una occasione mancata nel sistema produttivo italiano . Come era fino ad oggi l'apprendistato? Vediamo il sito inps http://www.inps.it/portale/default.aspx?sID=0%3B5773%3B6118%3B6196%3B6233%3B
apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, che consente di conseguire una qualifica professionale ed è diretto ai più giovani, in particolare a giovani e adolescenti che abbiano compiuto 15 anni (prevalentemente la fascia d'età tra i 15 e i 18 anni). Questa forma di apprendistato ha una durata massima di 3 anni, determinata in base alla qualifica da conseguire, al titolo di studio, ai crediti professionali e formativi acquisiti, nonché al bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai soggetti privati accreditati;
apprendistato professionalizzante, che consente di ottenere una qualifica attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale. Può durare fino a 6 anni, in base a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva. È possibile sommare i periodi di apprendistato svolti nell'ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli dell'apprendistato professionalizzante;
apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, che consente di conseguire un titolo di studio di livello secondario, universitario o di alta formazione e per la specializzazione tecnica superiore. La durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione deve essere stabilita, per i soli profili che riguardano la formazione, dalle Regioni in accordo con le parti sociali e le istituzioni formative coinvolte.
I periodi del primo e del secondo tipo di apprendistato sono sommabili fino al massimo di 6 anni.

Il secondo e terzo tipo di apprendistato hanno come destinatari giovani tra i 18 e i 29 anni (l’assunzione potrà essere effettuata fino al giorno antecedente il compimento del trentesimo anno di età cioè fino a 29 anni e 364 giorni) e i diciassettenni in possesso di una qualifica professionale (conformemente alla Riforma Moratti)

Il Governo Renzi non vuole l'obbligo della forma scritta del contratto di apprendistato  nè l'obbligo al percorso formativo fino ad oggi teoricamente previsto. Fino ad oggi le aziende erano tenute a confermare almeno il 20% degli apprendisti regolarizzando la loro posizione (nelle piccole aziende questo obbligo è stato facilmente aggirabile) domani non ci sarà più alcun obbligo

Alla luce di queste considerazioni si capisce dove si diriga la riforma del lavoro del Governo Renzi, alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, a contratti di poche settimane\giorni che non assicureranno ai lavoratori e alle lavoratrici ammortizzatori sociali permettendo alle aziende piena libertà di licenziare\sostituire la forza lavoro scomoda, al di fuori di ogni regola e controllo

Si attua cosi' la piena deregolamentazione del mercato del lavoro sposando le tesi più estreme del neoliberismo

Queste sono le belle novità del Governo Renzi:chi lo conosce lo evita, anzi lo combatte



www.cobaspisa.it

venerdì 14 marzo 2014

ANALISI CRITICA DEL “PIANO CASA” DEL GOVERNO RENZI


ANALISI CRITICA DEL “PIANO CASA” DEL GOVERNO RENZI

Il decreto legge recante “Misure urgenti per l’emergenza abitativa” varato dal Consiglio dei Ministri del 12.03.2014 comprende al suo interno un insieme di misure applicate con costanza negli ultimi decenni che di certo non rappresentano una scatto in avanti per affrontare l’emergenza abitativa evocata nel titolo, misure che non hanno assolutamente intaccato l’enormità del problema abitativo in Italia e che risulta irritante vedere riproposte tali e quali dopo anni e anni di fallimenti.
L’ambito normativo in cui ci si muove è sempre quello dalla legge 431 del 1998 che ha introdotto la liberalizzazione degli affitti e ha lasciato mano libera ai proprietari di casa nel fissare le condizioni di mercato degli affitti. Gli interventi dello stato sono, anche con questo decreto, al massimo rivolti a contenere gli effetti nefasti della liberalizzazione senza andare ad intaccare la supremazia assoluta dell’interesse della rendita e della proprietà, cercando anche di stroncare, con l’art. 5 del decreto, i movimenti di riappropriazione dal basso di valore d’uso. Al massimo potranno avere qualche giovamento le famiglie che si potranno permettere l’housing sociale o l’affitto concordato, con prezzi sempre più vicini a quelli di mercato, quindi famiglie con reddito medio/medio-basso. Completamente escluse le situazioni di vero disagio, gli sfrattati, le famiglie con un solo reddito precario o senza reddito, condannati sempre di più all’emarginazione. Altro che cambio di tendenza!
Questo piano casa è uguale a quello di Berlusconi, rispolverando la vendita del patrimonio erp, facendone un perno centrale della manovra, andando a impoverire ulteriormente la dotazione già misera (meno del 4% del totale delle abitazioni) dei comuni italiani.
In continuità con le manovre precedenti sulla casa sembra fatto per offrire facili occasioni di intervento alle imprese del settore edile, che si vedono riconosciuti anche benefici fiscali (art.6). Non si accenna a misure minimali come il blocco degli sfratti, la tassazione dello sfitto o il recupero a fini di edilizia pubblica di aree edificate abbandonate (caserme per esempio).
La classe proprietaria è una casta i cui interessi non devono essere essere sfiorati e costoro sono i veri beneficiari di una manovra che si presenta sotto mentite spoglie. Noi restiamo persuasi, anche di fronte al fallimento già verificato delle misure pedissequamente riproposte con questo decreto, che il bisogno di casa vissuto da centinaia di migliaia di famiglie, giovani, studenti sia risolvibile, in completa controtendenza con il piano casa di Renzi e Lupi, andando a intaccare pesantemente la grande proprietà immobiliare, con la requisizione dello sfitto, il blocco degli sfratti, un piano di edilizia popolare da avviare su aree già edificate e abbandonate, la conversione dell’edilizia sociale/housing sociale in edilizia residenziale pubblica.

Veniamo a un’analisi più approfondita del provvedimento tanto sbandierato come dirompente e innovativo
All’art 1 si definiscono gli importi per gli anni a venire del fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in locazione e per la morosità incolpevole.
Il primo fondo è stato istituito sempre con la legge 431/98 per permettere agli inquilini di sostenere il pagamento del costo dell’affitto anche in caso di difficoltà. Il fondo nel 1999 era di 388 milioni di euro, oggi in una situazione di crisi devastante e con un numero infinitamente più alto di famiglie in difficoltà con il pagamento degli affitti il fondo è passato a 100 milioni di euro. A ben poco vale ricordare che nel 2013 il fondo era stato addirittura azzerato. Si tratta comunque di soldi che passano direttamente dallo stato al proprietario che affitta, garantendo con soldi pubblici la rendita del proprietario al quale i soldi vengono versati direttamente. Stesso discorso per il fondo della morosità incolpevole: in cambio della sospensione momentanea della procedura di sfratto il proprietario riceve dallo stato quanto gli spetterebbe. Anche in questo caso si distribuisce miseria. Di fronte alla marea montante degli sfratti i 60 milioni scarsi di Euro previsti per il 2014 e 2015 di questo che possiamo considerare il surrogato del blocco degli sfratti, sono un insulto all’emergenza sociale. Il sistema dei fondi come abbiamo da sempre denunciato giova principalmente ai proprietari e garantisce la rendita, vero interesse tutelato da questa misura.

Con l’art 2 e l’art 9 il decreto intende rilanciare il secondo canale di contrattazione, quello a canone concordato. In cambio di agevolazioni fiscali il proprietario si impegna in questo caso ad affittare a un livello d’affitto definito sulla base di contrattazioni territoriali tra rappresentanti dei proprietari e degli inquilini. Stiamo parlando di canoni un po’ più bassi del libero mercato ma comunque ben remunerativi per i proprietari. Questo secondo canale, introdotto sempre dalla legge 431/98 è stato per anni completamente soppiantato dal canale di contrattazione libero. Ultimamente si cerca in tutti i modi di rilanciarlo con l’aumento delle agevolazioni fiscali come in questo caso con la riduzione dal 15% al 10 % della cedolare secca. Rimane il fatto che questo tipo di contratto decolla solo nelle provincie dove si aggiornano gli accordi territoriali cioè dove si aumenta il livello dei canoni concordati. Lasciando il pallino nelle mani dei privati naturalmente questi si orientano verso le soluzioni più redditizie e non certo verso la soluzione dell’emergenza casa.
All’art 2 si prevede anche la possibilità di coinvolgere e finanziare tramite convenzione coi comuni le cooperative edilizie che affittano a canone concordato.

All’art.3 e 4 si parla del patrimonio residenziale pubblico. Da un lato art 4 per avviare un piano di recupero degli alloggi ERP non assegnati per i quali verranno utilizzati fondi già esistenti nel bilancio del ministero delle infrastrutture e non spesi per un massimo di 500 milioni di euro più 67,9 milioni di euro non spesi da programmi di edilizia residenziale precedenti. Nella relazione tecnica del decreto si parla di 12.000 alloggi l’anno, staremo a vedere, ma sono ben poca cosa rispetto alle 650.000 famiglie attualmente in lista d’attesa nelle graduatorie.
All’art. 3, però, in piena contraddizione con il progetto di estendere la disponibilità di alloggi ERP esposto all’art.4, si prevede di accelerare il piano di dismissione di alloggi ERP già previsto dal Governo Berlusconi nel 2008.
Gli alloggi vengono offerti con diritto di prelazione agli inquilini ma come si è sempre riscontrato nel caso di procedimenti analoghi,in mancanza di prelazione dell’inquilino l’alloggio viene venduto al privato che vuole fare la speculazione, ma questo non è l’unico limite naturalmente di provvedimenti di questo tipo perché anche se gli introiti della vendita degli alloggi devono essere reinvestiti nel campo dell’edilizia residenziale pubblica la partita ha un risultato netto sempre a perdere e ciò significa che il patrimonio complessivo si impoverisce inevitabilmente, anche perché gli standard per le nuove costruzioni sono sempre molto più costosi del vecchio.

Dell’art.5 abbiamo già accennato. Si vuole stroncare qualsiasi movimento che vada ad intaccare gli interessi della speculazione e che cerchi di orientare la proprietà privata inutilizzata verso finalità sociali. Impedire l’acquisizione della residenza e l’allaccio delle utenze negli stabili occupati significa tentare di eliminare uno strumento concreto e diretto di risoluzione del bisogno abitativo, unico strumento esistente per migliaia e migliaia di persone che vi fanno ricorso, il tutto di fronte al nulla prospettato a livello istituzionale anche con questo decreto. Se si abbandona la pratica della riappropriazione diretta l’emergenza sociale diventerà ancora più drammatica proprio perché le soluzioni offerte dal mercato e dalle istituzioni non sono raggiungibili.

Art.6 prevede agevolazioni fiscali per le imprese che affittano alloggi sociali.

Art.7 prevede detrazioni fiscali per chi è titolare di contratto di locazione di alloggi di social housing.

Art.8 altro articolo che prende in considerazione chi la casa ce l’ha già (alloggio sociale) per favorirne in questo caso il riscatto in proprietà tramite agevolazioni fiscali.

Art. 9 vedi art.2 di cui sopra si parla di agevolazioni fiscali per chi affitta a canone concordato.

Art.10 detrazioni Irpef per l’acquisto di mobili e arredi.

Art.11 ha la finalità di accelerare i piani di social house già avviati o di tramutare in social housing progetti edilizi destinati ad altre finalità.

Art.12 e 13 sono articoli di definizione operativa e copertura finanziaria.

Che dire tutto già visto, sperimentato, fallito, metà degli articoli riguardano chi la casa ce l’ha già, altri sono fatti esplicitamente o implicitamente per i proprietari, i piani sul recupero erp sono annullati da quelli sulla vendita. Bisogna a questo punto chiedersi se la povertà e l'emergenza casa siano un problema o un'opportunità per questo governo.
Il senso di questa manovra è per noi chiaro, attaccare pesantemente la dignità di chi oggi vive, incolpevolmente, senza reddito sufficiente per arricchire a dovere gli speculatori. Minacciare chi prova sollevarsi contro una legalità ingiusta e un destino che non bisogna cambiare. Garantire ai soliti noti rendite e potere a scapito dei diritti di tutti. Vogliono creare una nuova classe di schiavi, disposti ad accettare tutto, impauriti ed isolati. Sta a noi impedirglielo, ne va del nostro futuro, della nostra dignità, della nostra vita.

AVANTI CON LA LOTTA

RETE DIRITTI IN CASA PARMA

Roma come Atene: arriva la “troika” anche nella capitale Appello per una mobilitazione generale al Campidoglio



Martedì 18 marzo, ore 15.00

Martedì 18 marzo si terrà il Consiglio Comunale straordinario sul “Salva Roma”. L'Assemblea capitolina dovrebbe svolgersi secondo modalità diverse dal solito, aperta alla partecipazione della cittadinanza e delle associazioni.
Napolitano ha controfirmato il "decreto Enti Locali", all'interno del quale all'art. 16 sono presenti le cosiddette misure "Salva Roma"; si tratta dell’ultimo attacco del Governo che con il ricatto del debito intende spianare la strada alle privatizzazioni e messa in vendita del patrimonio pubblico.

Un piano triennale di “lacrime e sangue”, di tagli indiscriminati alla collettività, in cui “la riduzione del disavanzo e il riequilibrio del bilancio” diventano il capestro con cui negare ai cittadini il diritto ad una gestione pubblica e partecipata dei servizi, nonché ad un utilizzo sociale del patrimonio immobiliare di cui invece si prevede la liquidazione, con l’obbiettivo di fare cassa privando la collettività di un bene comune che gestito socialmente costituisce una risorsa.
Il decreto prevede infatti le solite ricette draconiane di austerity, tramite un attacco frontale ai beni comuni e ai diritti dei lavoratori: per un verso l’imposizione delle privatizzazioni, dei licenziamenti e delle dismissioni, per altro il “commissariamento” del Sindaco, Giunta e Consiglio Comunale. L'amministrazione capitolina sarà sottoposta ad una vera e propria “troika”, composta da Presidenza del Consiglio, Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia, che dovrà approvare il piano triennale di rientro dal debito predisposto dal Comune di Roma.
Una tenaglia che impedisce di derogare dal “patto di stabilità” voluto dal Governo e dall’Europa.

Il disavanzo di bilancio e il piano di rientro triennale, con l'indicazione delle misure per il contenimento dei costi, non devono essere trasformati in uno strumento di colpevolizzazione dei cittadini di Roma, ai quali sottrarre servizi pubblici e beni comuni!
Non intendiamo lasciare in mano alle solite lobbies economico-finanziarie ciò che ci appartiene. Per questo ci apprestiamo a contrastare questo disegno feroce, rilanciando un nuovo modello di città che guardi al godimento dei beni comuni e del welfare locale, attraverso la riappropriazione sociale e la gestione partecipativa dei servizi pubblici.

Nelle intenzioni della Giunta, il Consiglio di martedì 18 marzo dovrebbe essere aperto alla città e permettere a tutti di prendere parola al fine di concludere la seduta con un documento di indirizzo condiviso.
Invitiamo i cittadini e le realtà sociali, che si battono per la tutela dei beni comuni e per un nuovo modello di città contro le politiche di austerity, a partecipare per imporre un confronto aperto sulle decisioni che interessano il destino di Roma: la qualificazione e gestione pubblica dei servizi e del patrimonio sui quali ribadire l’opposizione ad ogni forma di privatizzazione e dismissione.

Chiediamo alla Giunta Marino di decidere se sottostare ai diktat della “troika” o aprire un confronto con chi da tempo oppone alle politiche di austerity un nuovo modello di città. Non permettiamo che a Roma si ripetano le stesse devastanti ricette che hanno messo in ginocchio Atene.

Mobilitiamoci tutte/i il 18 marzo al Campidoglio perchè Roma non si vende, Roma si difende

Associazione Articolo 3Confederazione Cobas Roma
Coordinamento lavoratori/rici autoconvocat*- contro la crisi
Coordinamento Romano Acqua Pubblica
Federazione PRC Roma
 A Sud, Action Diritti in movimento, Alba Roma, Angelo Mai, Casale PAchamama, Centro Civico Uscita 23, Cinecittà Bene Comune, Cinema America Occupato, Comitato cittadino per l'uso pubblico delle caserme, Comitato occupanti Tor de Schiavi 101, Comitato Sviluppo Locale Piscine di Torre Spaccata, Cooperativa Corallo, Cooperativa Vivere 2000, Csoa La Strada, Ex Lavanderia, Csoa Sans Papier, Lucha Y Siesta, Movimento Radicalsocialista Roma e Lazio, Progetto Macine, Repubblica Romana, Rifondazione Comunista Roma, Salviamo il Paesaggio Roma e Lazio, Santa Maria della Pietà Bene Comune, Scuola Pubblica Bene Comune, SCUP, Sinistra anticapitalista Roma, Sinistra per ROma, Sinistra Unita, Social Pride, Silvicultura Agrocultura Paesaggio, Teatro Valle Occupato, Unione Inquilini, Urban Experience)

venerdì 7 marzo 2014

8 marzo: niente da festeggiare