Che si volesse arrivare alla
vendita di Poste italiane era chiaro; da sempre abbiamo denunciato
ogni iniziativa, accordo o forma di gestione che andasse in tale
direzione.
Oggi abbiamo la conferma che le
nostre analisi
erano nel giusto ed i timori
fondati.
La
cessione
del
40%
dell’azienda,
come
primo
passo
verso
la
completa
privatizzazione,
non
arriva
quindi,
come
una
sorpresa.
E non sorprende nemmeno la
leggerezza ed approssimazione con la quale una decisione di tale
portata viene presentata e gestita ne la studiata indifferenza dei
mezzi di informazione.
Non
sono
fornite
indicazioni
sui
modi
nei
quali
tale
cessione
si
attuerà;
quali
saranno
gli
acquirenti;
quale
sarà
il
futuro
dei
150.000
dipendenti
di
Poste
Italiane
e
quale
quello
del
servizio
universale
e
dei
servizi
di
bancoposta.
Non
potendo
credere
alla
motivazione
legata
all’abbassamento
del
debito
pubblico,
(2.068
mld
vs
4-5),
appare
evidente
come
la
vendita
di
un’azienda
che
fa
utili
considerevoli
ormai
da
anni,
non
possa
che
essere
l’ennesimo
regalo
e
scambio
di
favori
tra
potenti.
La totale incertezza genera nei
lavoratori e lavoratrici una forte preoccupazione ed un senso di
ansia per il futuro.
Tutto questo va ad aggravare una
situazione che, già allo stato attuale, si presenta insostenibile
per dipendenti ed utenti di Poste italiane.
I
disservizi
nel
settore
del
recapito,
il
calvario
insostenibile
davanti
agli
sportelli
degli
uffici
postali
e
l’inadeguatezza
nella
gestione
della
logistica,
sono
ormai
la
regola
su
tutto
il
territorio
nazionale.
È ovunque tangibile la giusta
insofferenza dei cittadini-utenti di Poste italiane.
Con
continue
scelte
sciagurate
di
azienda
e
sindacati
della
concertazione,
mai
messe
in
discussione,
si
continuano
a
caricare
sulle
spalle
dei
lavoratori
di
tutti
i
settori,
sempre
nuove
lavorazioni
e
responsabilità,
con
aumenti
incontrollati
del
carico
di
lavoro
e
senza
alcun
riconoscimento
economico,
spesso
senza
una
programmazione
ed
indicazioni
operative
certe
ed
univoche.
In tutte le sedi di lavoro si
tocca con mano la sofferenza dei lavoratori che, in molti casi, si
presenta come un vero malessere.
È sempre più difficile e
diverrà impossibile, in particolare per le donne, conciliare i tempi
e le energie tra lavoro in azienda e lavoro a casa.
A fronte di tutto questo, il
controllo dell’azionista unico di Poste, il Ministero
dell’Economia, è stato del tutto assente e, oggi, se ne comprende
il motivo e si hanno le conferme di quanto da sempre denunciamo.
PER PRIVATIZZARE UN SERVIZIO
PUBBLICO
E SVENDERE UNA GRANDE AZIENDA,
È NECESSARIO CHE IL CONTROLLO
DELLO STATO VENGA MENO.
È necessario che il fruitore
del servizio inizi a considerarlo inefficace e inutile, che si faccia
strada la convinzione, riproposta ad arte in ogni occasione da
politici e imprenditori attraverso i mezzi di informazione, che
privato “è bello” che privato “è meglio”.
A questo serve lo sfascio
continuo del recapito e, in parte per ora, anche del bancoposta,
portato avanti in modo mirato ed ininterrotto da più di 10 anni.
Quando la gente non avrà più
fiducia in Poste Italiane, quando chi difende questo bene della
collettività, dovrà lottare anche con la rabbia di utenti male
informati, allora sarà arrivato il momento per cancellare
definitivamente tutto ciò che Poste Italiane offre e rappresenta.
CONFERMIAMO LA NOSTRA TOTALE
CONTRARIETÀ A QUESTA OPERAZIONE E AD OGNI SCELTA CHE VADA NEL SENSO
DI UNA CESSIONE, PRIVATIZZAZIONE O TRASFORMAZIONE DEI SERVIZI DI
RECAPITO, LOGISTICA E BANCOPOSTA.
È necessario difendere
l’occupazione, la qualità del lavoro e dei servizi offerti che
sarebbero irrimediabilmente compromessi dalla cessione a privati.
Ribadiamo che i servizi pubblici e
i beni comuni non devono essere toccati; che Poste Italiane deve
continuare, come ente pubblico, a garantire quanto sancito dalla
Costituzione, in merito ai diritti alla comunicazione ed alla tutela
del risparmio.
Per
la ripubblicizzazione dell’azienda, in difesa degli interessi di
lavoratori e cittadini,
LUNEDÌ 7
APRILE 2014 SCIOPERO NAZIONALE DI TUTTI
I LAVORATORI
E LAVORATRICI DI POSTE ITALIANE.
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