lunedì 19 maggio 2008

I Cobas Empoli-Valdelsa invitano a bocciare il documento

presentato da cgil cisl uil sulla riforma della contrattazione.

NO


- allo smantellamento del contratto nazionale di lavoro

- a nuove gabbie salariali e allo scambio salario-produttività

- al monopolio di contrattazione e rappresentanza di cgil cisl uil

La banca dei regolamenti internazionali (BRI), ha certificato che in appena 25 anni, il sistema delle imprese ha sottratto ai salari otto punti percentuali del Pil che con i numeri attuali equivarrebbero a circa 500 euro al mese in più nella busta paga. Questo massiccio spostamento di risorse dai salari ai profitti è legato a due momenti particolari: l’abolizione della scala mobile (estate del ’92) che proteggeva i salari dagli effetti dell’aumento del costo della vita e gli accordi del 23 luglio ’93 in cui si decise di mettere un tetto ai salari, legandoli unicamente all’inflazione programmata. Sindacati concertativi, imprese e governo decisero così che l’unico “elemento” economico da tenere sotto controllo dovessero essere i salari. Mentre i prezzi e le tariffe continuavano a crescere e la spesa pubblica e sociale a ridursi, le buste-paga dovevano fare riferimento all’inflazione programmata. Dal ’92 ad oggi, venti milioni di persone hanno visto la perdita progressiva di ogni strumento in grado di tutelare i loro redditi: scala mobile e valore economico del contratto nazionale. Anche allora – esattamente come avviene in questi giorni – Cgil, Cisl e Uil ci dissero che la “perdita” su quei versanti sarebbe stata compensata da un incremento della quota salari da distribuire nella contrattazione aziendale. Nonostante i fatti abbiano dimostrato il contrario (quella contrattazione ha interessato meno del venti per cento dei lavoratori), cgil cisl e uil ci ripropongono oggi lo stesso meccanismo-bidone attraverso “la riforma della struttura contrattuale”.

I cobas Empoli-Valdelsa invitano a respingere questo accordo perché:

1) smantella di fatto il contratto nazionale di lavoro sposando l’idea del duo Berlusconi-Veltroni di legare il salario alla produttività. Guadagni di più solo se produci e lavori di più. Al livello nazionale verrebbe lasciato unicamente il compito di inseguire l’inflazione, mentre ogni aumento salariale sarà legato al recupero di produttività in azienda. Più che a contrattare salario ci troveremo a contrattare unicamente l’aumento dell’intensità di lavoro.

2) Sposta l’aggiornamento economico dei contratti da due a tre anni, meccanismo che ridurrà ulteriormente i salari e regalerà a governo e confindustria un altro anno di diluizione dei già scarsi aumenti salariali.

3) Favorisce il dilagare del salario individuale e delle gabbie salariali perché trasferisce sempre maggiori risorse verso la contrattazione aziendale e territoriale. Esaltare il livello territoriale significa accentuare le divisioni azienda per azienda, categoria per categoria, frantumando in mille rivoli le risposte possibili.

4) Non grantisce un efficace sistema di tutela salariale. Dopo aver decretato il fallimento dell’inflazione programmata, viene proposto un altro strumento.rapina: “l’inflazione realisticamente prevedibile”, calcolata attraverso nuovi fantasiosi indicatori quali “il deflatore dei consumi interno” o “l’indice armonizzato europeo corretto con il peso dei mutui”. Concetti privi di senso perché basati su indicatori che ognuno potrà elaborare a piacimento. Non tranquillizza neppure la definizione di “un sistema di recupero in caso di divaricazione rispetto all’inflazione reale, perché è lo stesso sistema previsto per gli accordi di luglio “93 e sappiamo come si è risolto.

5) Cancella ogni possibile forma di democrazia sindacale, puntando a rendere sempre di più le rsu come espressione unica di cgil cisl e uil. La questione della “misura della rappresentanza” è studiata unicamente per escludere o limitare la partecipazione di organizzazioni di base alle elezioni delle rsu. “La riforma sulla rappresentanza – scrivono cgil cisl uil – va attuata per via pattizia” con confindustria, come se il problema della rappresentanza e della democrazia nei luoghi di lavoro non sia un diritto a prescindere e quindi da rendere esigibile per legge ed a tutti.

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