martedì 21 dicembre 2010

Piccolo pro-memmoria dei paladini antiviolenza

Piccolo pro-memmoria dei paladini antiviolenza odierni.
1) Gianni Alemanno:
Entra da giovanissimo in politica, nelle organizzazioni giovanili del MSI-DN diventando segretario provinciale romano del Fronte della Gioventù, il movimento giovanile missino.
Ha al suo attivo 3 arresti: nel novembre 1981 per aver partecipato insieme ad altri quattro componenti del Fronte della Gioventù all’aggressione di uno studente di 23 anni. (Ansa, 20/11/1981)
Nel 1982 viene fermato per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma, scontando poi 8 mesi di carcere a Rebibbia. (Ansa, 15/05/1988)
Il 29 maggio 1989 viene arrestato a Nettuno per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, tentato blocco di corteo ufficiale, lesione ai danni di due poliziotti, in occasione della visita del Presidente Usa George H. W. Bush (Ansa 29 e 30/05/1989).
Inopportune appaiono perciò le sue reazioni alla manifestazione del 14 dicembre scorso ("VIOLENZA VERGOGNOSA", "Non dobbiamo tornare agli anni '70". Soprattutto se si tiene conto che gli arresti ai danni di Alemanno non avvenivano nei confronti di un giovane studente (incensurato, casomai importasse) che protestava in piazza. Avvenivano nei confronti di un militante di un'organizzazione post fascista che faceva della violenza (fisica, verbale, potendo anche armata) il proprio segno di riconoscimento, soprattuto (e chissa' quanti episodi non sono agli atti) verso i ragazzi di sinistra, i migranti, e tutti coloro giudicati 'non conformi', si direbbe oggi usando il linguaggio squadrista.

2) Ignazio (Benito) La Russa:
(Da un articolo di Lala Vantaggiato, “il manifesto”, sabato 18 dicembre 2010). Il più fascista tra i postfascisti. Questo era il ministro Ignazio La Russa e questo rimane. Arrogante, violento, provocatore. E persino brutto a vedersi, con quegli occhi da invasato, lo sguardo furbetto oppure assetato di sangue, il gesticolare scomposto con cui impone il silenzio o ti dice «vai vai». Irritante a sentirsi. Monotono, grottesco, volgare. Sempre uguale a se stesso, inelegante per natura.
Alle sue esibizioni sopra tono credevamo di esserci abituati ma quella che lo ha visto protagonista dell’ultima puntata di «AnnoZero» - giovedì scorso – ha veramente oltrepassato il limite e impone un immediato ridimensionamento delle sue presenze in televisione. Un quarto d’ora di «mantra» durante il quale ha ossessivamente dato del «vigliacco» a Luca Cafagna – lo studente della Sapienza di Roma in studio per commentare la manifestazione del 14 e colpevole – sempre secondo La Russa – di apologia di reato.
Si agita sulla sedia La Russa quando parla Cafagna - «vigliacco, fifone», interrompe, sbuffa, si alza, minaccia di andarsene. «Qui non c’è neanche un poliziotto – urla impazzito manco si trovasse sul set di “Platoon” – solo studenti». Suda La Russa però quando gli fanno osservare che anche lui in piazza c’è stato. A Milano per la precisione, era il 12 aprile del 1973 e quel giorno morì un poliziotto non certo per mano dei comunisti. No, non era proprio in piazza, La Russa, ma in Prefettura a trattare dice lui come chiaramente smentiscono le immagini di repertorio con cui si apre il film di Marco Belloccio «Sbatti il mostro in prima pagina», che quella giornata racconta e che mostra un giovane – ma non era per questo più avvenente – ministro degli esteri che megafono in mano, arringa le folle della «Maggioranza silenziosa». «Vai vai» questa volta non lo dice La Russa ma poi si riprende e si scaglia contro chi gli dà del fascista. Ignorante è la risposta e poco ci manca che non risponda «fascista a chi?»
Già, perché Ignazio Benito Maria La Russa è figlio del senatore missino Antonino La Russa e fratello di Romano. Trapiantati a Milano, i due fratelli sono tra i principali dirigenti di “Fronte della Gioventù” e il loro ruolo è delicato: tenere i contatti con i matti di San Babila, già all’epoca tutti armati ma anche e soprattutto incontrollabili e – a modo loro - «anarchici».
Dopo la vittoria elettorale dell’aprile del 1973 – con l’Msi che sfiora l’8% - l’attuale ministro dell’Interno è tra quelli che decidono di dar vita alla grande manifestazione della «Maggioranza Silenziosa», un comitato anticomunista a cui aderivano esponenti democristiani, missini, liberali e monarchici. Con lui, Ciccio Franco – già leader della rivolta di Reggio – e neo eletto senatore.
Parte male quella giornata e finisce peggio. La manifestazione «contro la violenza rossa» è vietata ma i sansabilini arrivano in piazza portandosi dietro le bombe “srmc”: sarà una di queste bombe ad uccidere l’agente Antonio Marino. Romano La Russa, fratello del ministro, finisce a San Vittore per «adunata sediziosa e resistenza alla forza pubblica». Ignazio viene indicato dalla stampa – sicuramente anche all’epoca comunista – come uno dei «responsabili morali» Per il Msi, partito d’ordine, è un disastro dal quale non si riprenderà più. Almirante reagisce denunciando i colpevoli e col Fronte è quasi rottura ma i due La Russa restano a galla e dopo poco Ignazio aderisce a “Lotta popolare”, la «sinistra» del Msi, dalla quale poi esce.
«Fascista a chi?».
Come ministro tocca tenercelo (anche se l’Idv ieri ha inviato una lettera aperta a Napoletano protestando per la presenza dentro un governo democratico di un ministro fascista) ma dagli schermi fatelo sparire.

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