martedì 26 novembre 2013

GENOVA PER NOI

Non se l’aspettavano. Governo, Comuni, Regioni, stati maggiori delle aziende del Trasporto Pubblico Locale (TPL), padroni e dirigenze aziendali di ogni settore credevano di averci addomesticati tutti.
E non se l’aspettavano nemmeno i sindacati ufficiali, che da tempo immemore esercitano il mestiere di farci ingoiare i rospi che le aziende gli comandano.

Non se lo aspettavano che gli autoferrotranvieri di Genova dessero vita a 5 giorni di sciopero a oltranza, a cortei con cui si sono presi la città e hanno messo sotto assedio sindaco e giunta comunale, mentre i sindacati ufficiali hanno dovuto fare buon viso a cattiva sorte, arrabattandosi tra la protesta dei lavoratori e la trattativa con Prefetto, Comune e Regione.
Oggetto di tutta la vicenda: la privatizzazione del trasporto pubblico (AMT, ora controllata da capitali pubblici, dopo essere stata già stata privatizzata per alcuni anni al capitale francese), come succede in tutte le aziende del TPL in Italia.
Cosa che comporta: cancellazione degli accordi integrativi, con la rapina di centinaia di euro in busta paga; assalto alle condizioni di lavoro; riduzione delle linee e delle corse; tagli all’occupazione; peggioramento del servizio rivolto ai cittadini.

Chiedete ai tranvieri fiorentini cosa ha significato l’acquisizione di Ataf, decisa dal sindaco Renzi, da parte di Busitalia insieme a Cap e Autoguidovie: disdetta degli integrativi aziendali (con buona pace di qualsiasi clausola di salvaguardia che in questi casi non può funzionare), esuberi e spacchettamento tra le società proprietarie (contro il quale la R.s.u. Ataf ha indetto uno sciopero di 24 ore per il 5 dicembre 2013).

A Genova gli autoferrotranvieri, già tartassati mesi fa con tagli in busta paga, stavolta hanno reagito: hanno iniziato a scioperare il 19 novembre e sono andati avanti negli scioperi fino al 23.
A loro si sono uniti i lavoratori dell’ASTER (manutenzioni stradali) e dell’AMIU (raccolta rifiuti).
Tutti hanno sfidato la legge n. 146 del 1990, una vergogna legislativa che rende lo sciopero un’arma spuntata: una legge che criminalizza i lavoratori quando intendono usare lo sciopero non come un episodio simbolico, ma per affermare davvero i loro diritti.

La cittadinanza di Genova ha capito la portata e il significato degli scioperi, solidarizzando fino in fondo con gli autoferrotranvieri e non lasciandoli soli di fronte alla rappresaglia spietata delle multe.

La lotta di Genova (lo spirito con cui lì si è deciso di non subire i miserabili progetti aziendali e di reagire a muso duro) invia un messaggio sul piano nazionale, non solo nel TPL ma anche in tutti i servizi pubblici e negli stessi luoghi di lavoro del settore privato.

Questo è vero anche dopo il contestato accordo siglato dai soliti sindacati, che prevede:
Lo stop solo per il momento della privatizzazione, ma prevede la concessione in appalto delle linee collinari, facendo quindi rientrare il privato dalla finestra,
una riduzione dei costi di gestione tramite una ristrutturazione del servizio, le cui modalità dovranno essere oggetto di trattative successive e che sicuramente andranno a colpire i lavoratori
Dà via libera alla Gara regionale mettendo così il TPL sul mercato, il che si traduce in tagli al servizio e al costo del lavoro, aumenti del costo del biglietto e rendita per il capitale privato. Un servizio pubblico, un bene comune che diventa strumento per arricchire pochi a discapito di tutti. E se le Ferrovie o altri privati volessero entrare nel TPL ligure, la gara è uno strumento perfetto.

Questo ha provocato critiche pesanti da parte di molti lavoratori che sono intervenuti in assemblea per respingere l’accordo e per chiedere che si votasse su scheda segreta, anziché per alzata di mano.
Ma i sindacati, fedeli alla loro natura arrogante, hanno imposto il voto palese, il quale, mentre per protesta molti lavoratori sono usciti dall’assemblea e non hanno nemmeno votato (così, i votanti sono stati solo 1450 su 2400), ha dato come risultato l’approvazione dell’accordo di stretta misura.

Ma non ci sono dubbi che questa vicenda pone all’ordine del giorno, per il mondo del lavoro sotto padrone, la necessità della lotta dura, se si vuole davvero che siano rispettati bisogni e diritti.
COBAS LAVORO PRIVATO

lunedì 25 novembre 2013

25 novembre 2013, giornata internazionale contro la violenza sulle donne: Una donna uccisa ogni due giorni non è una questione di ordine pubblico, ma una ferita aperta nella società civile.


1476844_10152074910664252_233436409_n Empoli – 25 novembre in piazza contro il femminicidio e la legge 119 Non in mio nome!
La Comunità in Resistenza di Empoli, aderisce alla giornata contro la violenza sulle donne, del 25 novembre. Diamo appuntamento davanti alla stazione di Empoli alle 18:30.


Geloso ha ucciso l’amante”, “Abbandonato ha ucciso l’ex moglie”, “Deluso ha ucciso la compagna”, “Delitto passionale”, “Delitto d’amore”, “Rapporto d’amore morboso”.

Ogni FEMMINICIDIO è etichettato quale raptus, cercando una sorta di giustificazione, a dire che in fondo “era un bravo ragazzo”, senza volere scoprire le cause che lo hanno originato.
Cause che possiamo ritrovare nella cultura nazionalista, sessista, razzista, in cui siamo immerse: che porta a uccidere perché “o mia o di nessuno”.
Nei primi sei mesi del 2013 sono state uccise 81 donne, di cui il 75% nel contesto familiare o affettivo.

Il 15 ottobre il governo ha approvato il decreto legge 119, che tratta anche di violenza sulle donne, ma che è impantanato in una logica emergenziale volta a chetare un clima di “allarme sociale” e a innescare “azioni straordinarie” di prevenzione.

Tutto il decreto si muove nello spazio dello scandalo e dell’eccezionalità muovendosi in direzione contraria rispetto al riconoscimento della quotidianità della violenza e alla necessità di forme di educazione e socializzazione che la riconoscano e la contrastino.
Non è un caso, dunque, che la soluzione proposta si concentri unicamente sul rafforzamento di misure punitive individuali.
Di fatto, la violenza di genere viene trattata come qualunque violenza criminale – in perfetta assonanza con lo stile di cronaca attraverso cui viene comunicata dai media.
La dinamica del raptus omicida si presenta come lo schema fisso in cui le donne sono trattate unicamente come l’oggetto e non come il soggetto della questione. La violenza, infatti, viene considerata come un problema di sicurezza e non di privazione della libertà, non tenendo conto degli ambiti strettamente connessi al femminicidio.

Violenza sulle donne è anche quella economica: la generale diffusione di forme di lavoro “deboli” come quello precario, che non comportano garanzie di diritti e la riduzione dei salari alle donne, mediamente pagate il 30% in meno dei loro colleghi maschi.
La combinazione di questi fattori porta alla dipendenza economica e sul piano pratico costituisce un’arma in più nelle mani di un marito, fidanzato, compagno violento per tenere ancorata a sé la propria vittima (“Ti sbatto fuori di casa!”) e avere un potere ulteriore su di lei.

Violenza sulle donne è anche quando si nega un’ educazione sessuale effettiva, metodi contraccettivi facili e rapidamente disponibili per tutti/e (basti pensare al rifiuto di prescrivere la “pillola del giorno dopo” o all’obiezione di coscienza per i farmacisti), il diritto ad un aborto sicuro.


Violenza sulle donne è anche quella che subiscono le migranti: quelle che si vedono costrette ad esercitare la prostituzione, quelle che subiscono in ambiente domestico e quelle violentate da parte dei poliziotti, nei CIE, autentici lager della democrazia, dove spesso vengono stuprate e picchiate se osano ribellarsi.

Occorrono, e con urgenza, finanziamenti ai centri antiviolenza, iniziative di sensibilizzazione e prevenzione che favoriscano la percezione delle donne non come vittime e soggetti deboli bisognosi di tutele, ma persone da sostenere contro antiche imposizioni patriarcali, in grado di autodeterminarsi e scegliere liberamente il proprio modo di vivere. 

Ci troverete lunedi 25 novembre davanti alla stazione di Empoli alle ore 18:30 per dare un segnale chiaro e ribadire che solo una cultura antirazzista, antifascista e non sessista può produrre un nuovo modo di pensare e vivere le relazioni fra i sessi.
Portiamo TUTT@ qualcosa di ROSSO.
Comunità in Resistenza Empoli

domenica 17 novembre 2013

L’ U R L O. Il 16 novembre un’altra giornata di lotta formidabile !

Dalla Terra dei Fuochi alla Val Susa , passando per Pisa e Parma, una marea umana  in piena si sta impegnando per costruire un’altra Italia , liberata dalla malavita politica e organizzata , dalle opere devastanti e mortali , dalla precarietà dell’esistenza , dall’essere esclusi e trattati al pari dei rifiuti.

Ben oltre 60.000 a Napoli . Un fiume in piena contro il “biocidio” che ha distrutto un intero  ecosistema e per fermare la strage degli innocenti, promossa da industriali e camorristi con il business delle discariche di rifiuti tossici  nella  Terra dei Fuochi. Questi criminali assassini vanno ricercati,stanati, perseguiti, per rendere - dopo il danno -  almeno giustizia al popolo inquinato e ai parenti delle vittime,  tramite bonifiche certe, rapide e gestite con il controllo popolare e  una congrua azione risarcitoria.
Ancora in 30.000 in Val Susa , per ribadire il rifiuto di un’opera inutile-costosa-dannosa, alla vigilia del vertice Italia-Francia con il quale la “ ragion di stato della Tav ad ogni costo” intende sfidare la volontà popolare. Importante la partecipazione  delle numerose delegazioni da ogni dove, tra cui spiccavano i NO Tav francesi, il movimento per il diritto all’abitare, i NO Muos ; soprattutto la delegazione aquilana, composta da cittadini e amministratori locali intesi a rafforzare con azioni concrete il gemellaggio tra questi 2 territori, che hanno espresso la volontà comune di “ lottare per la ricostruzione de L’Aquila  con i soldi destinati alla Tav”.
In tanti a Pisa per sostenere il diritto all’occupazione degli spazi, ad avere una sede pubblica per svolgervi attività socialmente utili, che il Comune e altre istituzioni continuano a negare  e/o a rimanere indifferenti a questa riconosciuta necessità.
Così come a Parma, dove si è bloccato l’avvio del famigerato inceneritore, contestato da gran parte della popolazione e per il quale la Rete Rifiuti Zero e il Forum Acqua hanno contribuito a dare vita a  due manifestazioni nazionali per impedirne l’apertura al gestore Hera.

A questo “ urlo tonante” che si è sentito in tutta Italia, i Cobas vi hanno preso parte con nutrite delegazioni, e si apprestano a farlo il 20 novembre a Roma (h 16, p.za Campo de Fiori, limitrofa all’ambasciata  francese) e negli appuntamenti vitali di questo scorcio di fine anno.
Una mobilitazione continua, sociale e popolare, che sta imprimendo priorità e ritmi molto diversi dalle scontate e stantie agende politico-governative.
Quando avviene che sono i movimenti sociali ad incalzare le istituzioni, si scatena un moto convettivo che contagia ovunque – oltre le città anche le periferie -  è il segnale distintivo che sta per accadere qualcosa di significativo , per cui vale la pena partecipare ed impegnarsi per riappropriarsi dei bisogni-diritti  negati , per imprimere una svolta nel Paese.

domenica 10 novembre 2013

No all'accordo sulla rappresentanza. Guerra preventiva al conflitto


L’accordo sulla rappresentanza sindacale, firmato lo scorso 31 maggio da Confindustria e CGIL-CISL-UIL, è stato definito un accordo “storico”, una “svolta”, un “avvenimento di prima grandezza per il Paese”. Può essere l’inizio di “una nuova era”, si è affrettato a dire Bonanni, segretario generale della CISL, facendo eco alla “stagione nuova” auspicata dalla pari grado della CGIL.
Ma perché tutta quest’enfasi? La solita retorica ed i soliti titoli ad effetto dei quotidiani, oppure c’è qualcosa di più? Vai mai a vedere che ci dobbiamo accodare al “Bravi, bravi, davvero bravi” del presidente del Consiglio, Enrico Letta?


Cerchiamo innanzitutto di capire perché a questo protocollo venga accordata tutta quest’importanza. Confindustria non le manda certo a dire; per bocca del suo vicepresidente per le relazioni industriali, Stefano Dolcetta, si esprime con chiarezza cristallina: “l’obiettivo a cui tendere è la prevenzione del conflitto”.

Esclusione dalla rappresentanza e stretta corporativa

“Prevenire è meglio che curare” per cui il primo obiettivo a cui tendere è l'esclusione dalla rappresentanza e dai diritti sindacali ad essa connessi di quei soggetti che potrebbero farne un uso indesiderato. Parliamo in primo luogo dei sindacati di base: l'accordo prevede infatti l'esclusione a priori di qualsiasi soggetto non firmatario dell'accordo dalla contrattazione nazionale oltre che un meccanismo di calcolo della rappresentatività che penalizza chi, come i sindacati conflittuali, non è firmatario di contratto nazionale.

La nuova disciplina sulle RSU concede inoltre la possibilità di indire nuove elezioni per il rinnovo delle rappresentanze unitarie alle sole organizzazioni firmatarie dell'accordo, e solo congiuntamente. Il monopolio di iniziativa elettorale, in mano ovviamente alle sole CGIL-CISL-UIL, non ha un mero valore procedurale: non sono pochi i luoghi di lavoro in cui rimangono in carica RSU già “scadute”, che una nuova elezione da parte dei lavoratori rimetterebbe seriamente in discussione.

Questo non vuol dire solo che la libertà sindacale sarà esercitabile esclusivamente entro le mura del sindacalismo confederale. La nuova disciplina delle RSU infatti prevede la decadenza dalla carica di delegato di chi, una volta eletto, dovesse per qualsiasi motivo cambiare organizzazione di appartenenza e l'assegnazione delle funzioni al primo dei non eletti della stessa lista sindacale. Cancellate con un colpo di spugna la libertà individuale e il diritto al dissenso, le nuove RSU sarebbero rappresentanti non dei lavoratori bensì dei sindacati, e saranno pronte ad impegnarsi a giurare fedeltà alla propria organizzazione di provenienza.

Giura che non scioperi. Lo giuro!

Con l'allontanamento dalla rappresentanza dei delegati conflittuali si da il colpo di grazia allo spirito partecipativo che aveva caratterizzato le lotte del 1969: i Consigli di Fabbrica, eletti da tutti i lavoratori e formalmente indipendenti dalle organizzazioni sindacali “maggiormente rappresentative” hanno lentamente lasciato il passo a rappresentanze de iure o de facto legate alle organizzazioni confederali ed espressione inequivocabile della linea sindacale e politica scelta da queste organizzazioni.

Inesorabilmente - tanto grazie ai padroni quanto grazie al sindacalismo “maggiormente rappresentativo” - sono stati distrutti quegli istituti di democrazia diretta che consentivano l'organizzazione dei lavoratori in azienda, e che rivendichiamo ancora come figli della storia del movimento operaio, della nostra storia: il delegato, sempre revocabile e referente di un “gruppo omogeneo” di lavoratori, le elezioni su scheda bianca, e quindi la possibilità per tutti di essere votanti ed al contempo eleggibili, la partecipazione dei lavoratori alle trattative e l'assemblea come momento importante di decisione, la continuazione degli scioperi e della discussione anche durante le trattative, comportamento simbolo dell'autonomia della nostra classe, che purtroppo stenta a riaffiorare.

Oggi, con questo accordo, si vuole imporre una mission politica: migliorare il grado di attrattività dell'Italia in modo da catalizzare investimenti. Non basta dunque escludere dalla rappresentanza gli indesiderati, bisogna circoscrivere in un ambito rassicurante le possibilità stesse della contrattazione, non a caso il protocollo del 31 maggio dà ampio rilievo alla “esigibilità” dell’accordo; i firmatari, cioè, “si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi […] sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni sindacali (OO. SS.) che rappresentino almeno il 50% + 1 della rappresentanza”. Insieme all'accordo del 28 giugno 2011, che consente di derogare in peggio al CCNL di categoria in sede di contrattazione aziendale, questa nuova intesa obbliga all'accettazione passiva di qualsiasi peggioramento contrattuale siglato dall'azienda e da benevoli funzionari sindacali. Come ogni divieto, quello che esclude qualsiasi iniziativa di contrasto (e non solo lo sciopero) agli gli accordi, ha le sue specifiche sanzioni e punizioni, che verranno previste al momento della stipula dei nuovi contratti nazionali.

Una battaglia politica

Una linea è stata tracciata, quella tra chi è costretto sulla carta a firmare per licenziamenti, riduzioni salariali, straordinari obbligatori e chi resta fuori dalla rappresentanza. A CISL e UIL si aggiungono dunque, nella ritrovata unità sindacale, la CGIL della Camusso e la FIOM di Landini, più attenti a salvaguardare gli interessi di “parrocchia” che quelli dei lavoratori; la sfilata del 12 ottobre in difesa della democrazia, fortemente voluta dal segretario della FIOM, resta pura retorica se vista da dentro i luoghi di lavoro.

Nella battaglia per l'agibilità sindacale ed il conflitto di classe, ci rivolgiamo non solo ai lavoratori ed ai sindacalisti iscritti militanti o simpatizzanti del sindacalismo di base, ma a tutti coloro, lavoratori o delegati iscritti a CGIL-CISL-UIL, che già oggi rischiano di dover lottare contro licenziamenti e peggioramenti contrattuali con le armi spuntate.