giovedì 25 settembre 2014

Incentivi alle Fusioni fra le partecipate pubbliche: un' altra grande abbuffata!


Con la consueta "annunciazione" mediatica, il governo ha anticipato l’ intenzione di inserire nella legge di stabilità incentivi alle società partecipate al fine di favorire aggregazioni e fusioni fra di loro.

Come al solito questo puntuale e mirato decisionismo della politica non è casuale. D’altronde sono ormai più di venti anni che i processi di aziendalizzazione e privatizzazione delle ex municipalizzate sono stati fortemente voluti dai poteri economico finanziari interessati ad appropriarsi, a prezzo d’occasione, di società pubbliche che gestivano alcuni servizi degli enti locali.

I Comuni, avendo accettato passivamente i vincoli di bilancio, hanno rinunciato a difendere la propria autonomia finanziaria divenendo così “ostaggio” dei governi centrali e di fatto della troika europea attraverso i patti di stabilità, per cui al fine per mitigare gli effetti hanno utilizzato ampiamente il sistema di costituire “società partecipate”.

Questo metodo infatti ha permesso di aggirare i tetti imposti sulla spesa del personale costituendo società in house, ma anche di rispondere ai veri interessi di certi amministratori locali, molto attenti ai posti nei C.d.A. e a garantirsi “risorse fresche”, attraverso le cessioni di quote, per finanziare i programmi di mandato dei Sindaci.

Purtroppo queste società, strumentali e non, in molti casi sono servite anche per alimentare e costruire un variegato sistema di subappalto con l’ intreccio di partecipazioni pubblico private, che ha dato luogo ad una voluta precarizzazione del lavoro creando un diffuso precariato, accompagnata dall’ applicazione di contratti sostanzialmente al ribasso in termini di diritti e salari.

Eppure queste società, in house o partecipate, che hanno spesso “sottratto” cospicue risorse dai bilanci dei Comuni, seppur gestiste con criteri nominalmente privatistici aziendali, non sono state spesso in grado di assicurare ( neppure quando ci sono stati gli utili) il loro impiego in forma di equità e di utilità sociale come servizi resi agli utenti in termini di qualità e costi del servizio.

E’ in questo quadro che il Governo Monti prima e quello Renzi dopo, adeguandosi ai voleri di Confindustria e Bce, hanno dato nuovo impulso ai processi di liberalizzazione e privatizzazione, che hanno già fallito negli ultimi 20 anni.

Anche se il consiglio di stato ha ridisegnato i confini e le finalità del servizio pubblico, per il governo Renzi, pubblico è ormai sinonimo solo di attività imprenditoriale, per cui il controllo a fini sociali perderà ogni significato, e per servizio pubblico erogato dagli enti locali si intenderanno anche servizi interamente gestiti in assenza di controlli da soggetti privati, peraltro con contratti di lavoro sempre più sfavorevoli per le lavoratrici e i lavoratori.

Attorno alle partecipate si gioca così una partita importante! Ecco perché sono forti le pressioni delle lobbies delle privatizzazioni e degli interessi legati al capitalismo italiano, che con i soldi della collettività andranno a costruire grandi società che faranno profitti e speculazioni azionarie, e che non porteranno beneficio alcuno ai cittadini, ai lavoratori e alle comunità.

Quello che appare oltremodo paradossale è l’ incentivo alle fusioni fra società partecipate pubbliche attraverso bonus e agevolazioni fiscali, che sarà inserito nella prossima legge di Stabilità, quale soluzione della maggioranza politica al governo per rispondere (o occultare?!) a inefficienze e conflitti d’ interesse nelle società partecipate che la stessa politica, attraverso amministratori da lei stessa nominati, ha prodotto.
Una cosa è certa: ogni qualvolta i governi centrali e gli interessi dei poteri economici finanziari coincidono, si innescano processi di contrazione degli spazi di democrazia che di norma si concretizzano in processi di “fusioni”, che sia nel caso dei riordini istituzionale incentivati di comuni e province che nei processi di riorganizzazione delle aziende pubbliche si connotano sempre con la stessa caratteristica: allontanare cittadine e cittadini dal “centro decisionale”.

Siamo oltremodo convinti di un perverso intendimento governativo, mascherato dagli studi della spending review, per regolare al contempo interessi interni di potere attraverso l’ operazione di sfoltimento delle partecipate pubbliche, senza che da ciò gli utenti ne traggano benefici sia termini tariffari che operativi, costretti come saranno ad interfacciarsi con un servizio di servizio pubblico garantito da un call center.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti:tariffe piu' care, minore occupazione.
Sotto il profilo tariffario sarà infatti sempre più difficile, da parte dell’ autorità preposta ad esempio nel ciclo delle acque, controllare in maniera precisa l’ entita degli investimenti realmente effettuati da questa “aggregazione” di macroaziende, che continuano nonostante tutto a pesare sulle bollette.
Mentre per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti è evidente che il processo di fusione renderà più difficile lo sviluppo della raccolta differenziata, perché le aziende pubbliche più grandi hanno continuato ad effettuare investimenti sugli impianti di incenerimento e non hanno certo interesse a farsi mancare “lucrosa” materia prima per alimentare gli impianti. E anche quando ci sarà raccolta differenziata la organizzeranno con carichi di lavoro insostenibili che mettono già oggi a rischio la salute e sicurezza dei lavoratori

Sotto l’ aspetto occupazionale anche il personale di numerose aziende partecipate anche a livello locale è a rischio.

La mobilità prevista tra aziende è un segnale preoccupante che fa presagire una politica fatta di esuberi, di prepensionamenti (sempre con soldi pubblici), di esternalizzazioni con cessioni di rami di azienda comprensivi del personale, che non trarrà alcun beneficio , anzi non potrà neppure portarsi dietro i trattamenti di miglior favore, a dimostrazione che l’ obiettivo primario dei “padroni pubblici” è la contrazione dei salari e dei diritti.

Già in numerose aziende ci sono stati tagli occupazionali, o mancate stabilizzazioni, , avvenuto con il silenzio assenso delle organizzazioni sindacali presenti in questa azienda.

Ci sono poi aziende di scopo che in questi anni sono state volutamente fuori da ogni controllo, perché utilizzate come “cimitero degli elefanti” di amministratori che avevano perso una poltrona e secondo le ferree regole della spartizione lottizzatoria della maggioranza, e che oggi stanno per essere cancellate senza prima preoccuparsi del personale, di come sarà utilizzato, o di chi gestirà un complesso immobiliare che ospita numerose aziende.

Anche la figura dell'amministratore unico nelle società partecipate è stata presentata come risparmio e taglio di poltrone e ruoli burocratici, in realtà cela anche soprattutto l'accentramento del potere decisionale nelle mani dei soliti noti, ovvero ruoli tecnici ricoperti da soggetti riciclicati e divenuti tali dopo decenni di ruoli politici.

Le parole degli amministratori locali che si ergono a moralizzatori della cosa pubblica sono dettate da ipocrisia, dimenticano di dirci quanti soldi sono stati spesi e con quali risultati, si prepararano a tagliare posti di lavoro o a precarizzarli, a una grande mobilità che aumenterà la insicurezza e rende ricattabili i lavoratori e le lavoratrici. Il tutto dopo 20 anni e passa di privatizzazioni che hanno saccheggiato il pubblico aumentando le disparità sociali tra chi accumula ricchezze e profitti e quanti non arrivano a metà mese

cobas pubblico impiego

domenica 14 settembre 2014

CONTRO LA GUERRA E IL RIARMO, CHIUDERE LE BASI NATO-USA

Oltre 10000 persone hanno manifestato sabato 13/9 al poligono di Capo Frasca (OR) chiedendo la dismissione di tutte le basi, rispondendo all'appello delle organizzazioni antimilitariste-antimperialiste sarde.
Una partecipazione popolare che non si vedeva dal 1969, quando gli isolani impedirono le esercitazioni militari a Pratobello di Orgosolo. Segno che la misura è colma, che la gente sarda non ne può più di servitù militari che occupano buona parte dell'isola , ricevendone in cambio morte,disoccupazione, isolamento.
A Capo Frasca, le esercitazioni "aereo-terrestri", con sganciamento di bombe di vario tipo su obiettivi fissi-mobili vanno avanti da 35 anni, a volte "sbagliando mira" finendo per colpire anche a morte i pescatori dello stagno di Marceddì, o bruciando 35 ettari di macchia mediterranea come accaduto la scorsa settimana.
A Perdas de Fogu (altro poligono di morte nell'Ogliastra-costa orientale) è da tempo noto l'uso di bombe "all'uranio impoverito" che comportano leucemie e altre patologie tra la popolazione e gli stessi militari . Tanto da far scattare inchieste, che vedono a breve processati ( 23/9 a Lanusei, la Regione è parte civile) i conduttori del poligono e i vertici di Forze Armate e Ministero Difesa. Con l'aggravante dell'uso del poligono da parte delle forze armate israeliane, che poi utilizzano quell'addestramento contro i palestinesi,
come le recenti distruzioni e morte su Gaza dimostrano.
A Teulada(sud ovest di Cagliari), dove il 21/9 riprendono le esercitazioni " terra-terra", nonostante le numerose proteste tra cui anche quella della Regione, che invitano le F.A a soprassedere.

DECISAMENTE IMPORTANTE LA STRAORDINARIA MOBILITAZIONE POPOLARE DEL 13/9 A CAPO FRASCA.
Nello tempo in cui soffiano forti venti di guerra nel Mediterraneo-Medio Oriente e altrove, con il governo Renzi e le " "ex pacifiste" ministre Pinotti-Mogherini imbarcate in avventure militari a sostegno dell'industria bellica, a partire da Finmeccanica.
Il rifiuto delle basi Usa-Nato in Sardegna - la rottura dei reticolati con l'invasione a Capo Frasca - si aggiunge a quanto già in corso in Sicila, a Niscemi-base Usa, da parte del Comitato Regionale NO Muos.
La Sicilia al pari della Sardegna è occupata dalle basi direttamente operative, come quelle di Augusta e Sigonella, quest'ultima divenuta la base per eccellenza delle " neo armi da guerra Usa", costituite dal dispositivo strategico che fa capo al " sistema Muos-Droni".
Per non parlare del " fronte Nord Italia" , assicurato in particolare  dalle grandi basi di Aviano e Ghedi fornite di bombe atomiche e dalla base Comando Usa "Dal Molin" di Vicenza.
Ce n'è quanto basta per ritessere le fila di un movimento antimilitarista-antimperialista, che dichiari apertamente le ostilità all'uso del territorio italiano per la guerra e tale da sollecitare identico impegno in Europa.

Crisi economica e ripresa della guerra vanno a braccetto. Le ulteriori spese militari, le missioni e il riarmo,sono a scapito dei servizi sociali e dei beni comuni, che il governo Renzi si appresta a tagliare. Quando invece eliminando la partita degli F35 + il disarmo di basi-armi da guerra, l'Italia respirerebbe  avviando un'alternativa concreta alla disoccupazione giovanile e strutturale, alle milioni di famiglie che vivono dentro e oltre la soglia di povertà.

Roma 14.9.14                                  CONFEDERAZIONE   COBAS