Marco Saletti
è un
imprenditore di
Vinci che
dal 2008
al 2011
ha sfruttato
268 giovani
della zona
sottopagandoli (2,50
euro all'ora)
come centralinisti
nei suoi
due call
center di
Empoli (E-net
e Sant'Andrea),
a volte
non pagandoli
proprio, comunque
stipulando contratti
di collaborazione
a progetto
che occultavano lavoro
subordinato, questione
su cui
si è
espressa a
varie riprese
la Corte
di Cassazione
(si veda
ad es.
la sentenza
n.4476 del
21 marzo
2012).
L'operatore di
call center
è il
soggetto esemplare
dello sfruttamento
del lavoro
immateriale di
questi anni.
Soggetto nuovo
per un
lavoro che
prevede le
stesse vecchie
forme di
sfruttamento tipiche
della fabbrica
tayloristica. Le
storie che
emergono dai
due call
center empolesi
evidenziano infatti
l'ossessivo e
costante controllo
dei tempi,
l'elevato tasso
di stress
e il
ricatto costante
della riconferma
contrattuale. Imprenditori
senza scrupoli
che possono
contare su
una giungla
retributiva che
né la
Spending review
né gli
accordi confederali
al ribasso
hanno minimamente
intaccato. Indifferenti
al rispetto
delle condizioni
lavorative, i call center
sono stati tra i luoghi più “visitati” dai servizi ispettivi
delle ASL e del ministero del lavoro. Numerosi studi scientifici
hanno messo a nudo le diverse criticità tipiche del call center e
gli effetti negativi prodotti sulla salute degli “operatori”:
disturbi muscolo
scheletrici, dolori
alle orecchie,
senso di
vertigine, cefalee,
riniti causate
dalle cuffie
di spugna
non sanificate,
disfonie funzionali
(malattie della
voce caratterizzate
da alterazione
del timbro
vocale).
E' un modello organizzativo che si va
affermando sempre più prepotentemente sia nel mondo dell’impresa
privata che in quella della pubblica amministrazione in quanto
permette di aggredire più efficacemente i “mercati” e tagliare
pesantemente il costo del lavoro. Alti profitti e bassa qualità del
servizio che lavoratrici e lavoratori pagano pesantemente sia in
termini di salute che di precarietà di reddito.
Condizioni che i Cobas denunciano da
anni, portate alla luce grazie alla lotta dirompente dei precari di
Atesia e che ha costretto l'azienda e cgil, cisl e uil a firmare un
accordo per l'assunzione a tempo indeterminato di 6500 lavoratori.
Una vicenda estesa successivamente a tutti i grandi gruppi delle
telecomunicazioni. Abbiamo denunciato le politiche delle imprese di
TELECOMUNICAZIONI che, attraverso la dichiarazione di finti esuberi,
utilizzano i soldi pubblici destinati agli ammortizzatori sociali per
aumentare la flessibilità della forza lavoro dentro l’azienda e
ridurre drasticamente il numero dei dipendenti stabili per
sostituirli con lavoratori precari e/o delocalizzare le attività
dove il costo del lavoro è più basso. Denunciamo anche l'assoluto
disinteresse che amministrazioni pubbliche e società
pubblico\private manifestano verso i lavoratori dei call center
orientando la scelta di un appalto unicamente sulla base di
considerazioni economiche al ribasso. Una indifferenza testimoniata
dal voto unanime sul cosiddetto “decreto Sviluppo” e in
particolare su un piccolo comma (per la precisione il settimo
dell’articolo 24 bis), che prevede per le “attività di vendita
diretta di beni e di servizi realizzata attraverso call center
outbound”, vale a dire al telefono, la possibilità di lavorare col
contratto a progetto vita natural durante. Precarietà a vita.
Nel rivendicare l' assunzioni immediata e a
tempo indeterminato per tutti i lavoratori dei call center (sia “in
bound” che “out bound”), ricordiamo che la nostra sede di
Empoli (via XXV aprile n.1, Ponte A Elsa) è a disposizione per
consulenze e sostegno legale tutti i mercoledì dalle 21 in poi.
Cobas Empoli-Valdelsa.
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