lunedì 23 dicembre 2013

Firenze, #21D: cariche contro il corteo 'Assediamo il lusso'

 alt'Assediamo il lusso': questa la parola d'ordine con cui per oggi pomeriggio a Firenze era stata convocata una giornata di lotta cittadina contro l'austerità, per far sentire la voce della Firenze degli sfratti, della precarietà, della disoccupazione e rompere la vetrina natalizia del settore del lusso, quello che invece non sembra scalfito dai morsi della crisi.
Solo ieri la Questura aveva fatto sapere di voler vietare la manifestazione, proponendo un 'percorso alternativo' che tenesse il corteo ben lontano dal centro cittadino e tutelasse la quiete e gli interessi dello shopping natalizio che proprio in quella parte di città si riversa, in particolare in questi giorni. Una proposta che è stata fermamente respinta dall'assemblea contro l'austerity protagonista della costruzione della giornata di lotta del #21D, che ha invece rivendicato il proprio diritto a manifestare e a portare le proprie ragioni nel centro di Firenze.
Così è stato: dal primo pomeriggio di oggi centinaia di persone si sono radunate all'appuntamento in piazza San Marco, rifiutando la proposta di un semplice presidio caldeggiata dalla Questura e decidendo di partire in corteo alla volta delle vie del centro dietro uno striscione che recitava "Se Natale d'austerità deve essere, che Natale di lotta sia. Assediamo il lusso". Dopo pochissimi metri, quando la manifestazione è arrivata nei pressi di via Cavour, il corteo si è trovato la strada sbarrata dalla polizia che voleva impedirne il passaggio; a quel punto i manifestanti hanno deciso di riguadagnarsi il diritto a manifestare al grido di 'Corteo, corteo!', premendo sui cordoni della celere. Due cariche della polizia hanno tentato di impedire al corteo di muovere i suoi primi passi ma poco dopo la manifestazione si è ricompattata ed è ripartita.
Nei pressi del Duomo il corteo ha tentato nuovamente di smarcarsi dalla presenza pressante delle forze dell'ordine, svoltando rapidamente in alcune vie che conducevano nel cuore dello shopping e scatenando poco dopo la terza e violenta carica della polizia.
Nonostante i dinieghi e le provocazioni della Questura fiorentina, il corteo di pomeriggio ha resistito compatto portando, come promesso, l'assedio alle politiche di austerità e al lusso.



 Di seguito il comunicato del Movimento di lotta per la casa

#21D FIRENZE LIBERA!
La piazza si conquista la libertà di manifestare!


Oggi pomeriggio alcune centinaia di persone tra studenti, occupanti di case e sfrattati, giovani precari e lavoratori hanno risposto all’appello lanciato dall’ “assemblea contro l’austerità” per una manifestazione che si ponesse l’obiettivo di andare a portare la rabbia di chi subisce la crisi nelle vie della ricchezza e del lusso.  La questura, che ieri aveva comunicato il divieto totale della manifestazione prescrivendo un presidio statico in piazza San Marco, ha provato a impedire la manifestazione schierando un grosso numero di celerini e blindati a sbarrare via Cavour.
L’arroganza della questura e di chi governa la città, tutto impegnato a vendere nel mondo un immagine di Firenze fatta di ricchezza e pace sociale, si è dovuta scontrare con la determinazione di quel pezzo sempre più grande di città che è stanca di subire le politiche di sacrifici e che questo Natale avrà ben poco per cui (e con cui) festeggiare.
Come avevamo già scritto, l’idea che esista un pezzo di città riservato alla ricchezza e vietato alle manifestazioni di chi di questa ricchezza viene quotidianamente espropriato è semplicemente inaccettabile. Qui sta la legittimità di forzare i divieti della questura, che si è spinta fino a vietare e sbarrare fisicamente quelle vie che storicamente sono attraversate dalla maggioranza delle manifestazioni in città.
Di fronte alla spinta dei manifestanti, e dopo che tre cariche non sono riuscite a spegnerne la determinazione,  la polizia si è trovata costretta ad arretrare e consentire al corteo di prendere vita, in un clima assurdo e grave di militarizzazione e provocazione costante con la celere che ha scortato la manifestazione manganelli e scudi in mano mai a distanza di più di un metro. Anche questo, a quanto pare, fa parte del modello Renzi.
Passo dopo passo, metro dopo metro, l’assedio è riuscito a raggiungere un Duomo militarizzato e inoltrarsi fino all’inizio di via Vecchietti, sfiorando le vie del lusso più sfrenato e riconquistando la propria libertà di manifestare. Qui ha dovuto fronteggiare un’altra carica della polizia, per poi sciogliersi in piazza dell’Unità.
Finisce così una grande giornata di lotta all’austeritá e determinazione che ha affermato con la giusta forza che ribellarsi alle politiche di sacrifici è giusto e possibile, nonostante i divieti.
Lo spirito della piazza di oggi è sicuramente un buon punto di partenza per iniziare un nuovo anno all’insegna del conflitto e della moltiplicazione delle pratiche di riappropriazione diretta che diano risposte autorganizzate all’emergenza casa, al caro-vita, alla precarietà.
Firenze 21.12.13

venerdì 6 dicembre 2013

A FIANCO DEI LAVORATORI DEL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE DELL’ATAF DI FIRENZE, IN LOTTA CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DISPOSTA DALLA GIUNTA RENZI

IL COBAS  LAVORO  PRIVATO  E  LA  CONFEDERAZIONE  COBAS,
PLAUDONO AGLI SCIOPERI DEI LAVORATORI DEL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE DELL’ATAF DI FIRENZE,  IN LOTTA CONTRO LA NEFASTA PRIVATIZZAZIONE DISPOSTA DALLA GIUNTA RENZI , CHE STA PROVOCANDO GUAI INFINITI AI LAVORATORI E ALLA CITTADINANZA.

La giornata di sciopero del 5/12 , partecipata al 100% ha visto i lavoratori in piazza, sostenuti dai fiorentini nelle motivazioni a sostegno della mobilità pubblica, sottratta alla speculazione privata e alle molteplici carenze del servizio.
Oggi , lo sciopero continua con i lavoratori in assemblea permanente, nel mentre la RSU ( 15 su 18 Cobas) ha imposto un tavolo all’Ataf  per risolvere da subito quanto attiene alla copertura delle turnazioni(senza straordinario), alla tutela della salute dei lavoratori, alla manutenzione e  potenziamento ecocompatibile del servizio pubblico.
Contro la privatizzazione e per il potenziamento del trasporto pubblico, già gli autoferrotranviari genovesi avevano dato un segnale forte di opposizione a qualsiasi liquidazione, men che mai in nome del “ patto di stabilità e dei buchi di bilancio”.
Ora il segnale è stato raccolto e amplificato dagli autoferro  di Firenze,Pisa e Livorno, e ci auguriamo in breve da tutta Italia, in quanto il problema è generale, coinvolge in toto il sistema della mobilità e l’intera popolazione.

Coinvolge i lavoratori delle fabbricazioni industriali dei mezzi di trasporto su gomma e ferro, la cui sorte è messa in crisi dai nostrani padroni pubblici e privati, ma i cui marchi – Ansaldo STS, Ansaldo Breda, Breda Menarini Bus, Irisbus – sono estremamente appetibili in Europa da Mercedes, Bmw, Pegeuot,Volvo.  Lo Stato, con la vendita delle aziende- Finmeccanica intende  fare cassa, ai fini di mantenersi nel “ 3% del patto dio stabilità”; la Fiat ha chiuso Irisbus da due anni, solo per la politica liquidatoria delle produzioni italiani voluta dal boss Marchionne ( il 12/12 i lavoratori sciopereranno e manifesteranno a Roma , davanti alla. Sede del governo).

Eppure della produzione di  bus,tram,treni, navi ( lo Stato vuole liquidare anche Fincantieri) - di cui l’Italia è stata tra i leader mondiali – nel Bel Paese ce n’è bisogno come il pane . In un Paese, dove l’unica “ industria” che tira è quella del turismo e connessi, è da folli non realizzare un polo integrato della mobilità, che abbia come perno il trasporto pubblico e un comparto industriale dietro le spalle, che lo sorregga e ridiventi  appetibile  per  le esportazioni .

Ben vengano dunque : la diffusione-coordinamento   degli scioperi nel TPL ,il coinvolgimento dei lavoratori di tutti i settori , la cittadinanza attiva il lotta per la casa, il reddito e bisogni negati.
Sarà l’occasione per protestare e proporre insieme : la difesa e il potenziamento del trasporto pubblico, di un modo civile di vivere la pendolarità e la mobilità nelle città, di bonificarci dall’inquinamento e di salvaguardare la salute e le tasche.
Di questa visione , i Cobas sono parte attiva – attraverso le strutture aziendali,territoriali, nazionali –
impegnati oltremodo nella tutela dei lavoratori da ogni ritorsione – precettazioni, trattenute illecite,denunce, processi -   per liberare e far trionfare la giusta battaglia del trasporto pubblico.

martedì 3 dicembre 2013

Logistica, se gli ultimi tra gli ultimi si ribellano al ricatto. Intervista a Nicoletta Frabboni, dei Cobas


La lotta dei facchini della Granarolo viene sistematicamente ignorata dai mass media. In realtà si tratta di una lotta importante, perché gli ultimi tra gli ultimi hanno deciso di alzare la testa. Cosa accade?
Le grandi aziende, tipo la Granarolo, esternalizzano la logistica ai consorzi che a loro volta subappaltano alle cooperative. Con i regolamenti costruiti dalle coop stesse, viene agredito non solo il costo del lavoro, ma anche le condizioni del contratto di riferimento. E in questo, va detto, c’è una grossa responsabilità della Legacoop che, nella buona sostanza, lascia fare. Retribuzioni più basse e più dure condizioni di lavoro per i lavoratori, in grandissima maggioranza migranti. In alcuni casi il salario è del 35% in meno. Degli orari di lavoro, poi, non parliamo, la giornata lavorativa effettiva è molto ma molto oltre le otto ore di lavoro. Chi si ribella viene licenziato, come nel caso della filiera di cui è capofila la Granarolo. In quella vertenza si era addirittura arrivati a un accordo che prevedeva la riassunzione dei lavoratori che avevano protestato, riassunzione che invece si è fermata a nove su una cinquantina.

Con la tua esperienza diretta nei Cobas cosa hai potuto osservare?
Sono arrivati da noi dei facchini di una coop di Calderana di Reno; prima un quarantina e poi altri. Abbiamo presentato una piattaforma basata sulla clausola di salvaguardia, norma presente nel settore delle pulizie e non nella logistica guarda caso. Ma a volte la battaglia è molto dura perché le aziende non si fermano di fronte a niente: quello che accade è che le aziende cambiano nome e ragione sociale abbassando continuamente il costo del lavoro. Alla Logima, consorzio “Gli”, si sono inventati una mobilità dopo tre mesi dal cambiamento della ragione sociale. Hanno provato a licenziare donne in maternità obbligatoria, e Cgil, Cisl e Uil di categoria sono rimasti a guardare. Questo accade nella filiera dei salumifici. I Grandi salumifici italiani che si vantano di questo e di quello hanno licenziato le donne in stato di gravidanza. Un bambino è nato una settimana dopo che sua madre aveva impugnato il licenziamento. Su quindici persone dodici erano donne. Ci siamo opposti e le hanno dovute riassumere anche perché c’era la segnalazione alle Pari opportunità. Ci sono casi di aperta illegalità?
Spesso c’è una gestione mafiosa in base alla quale ci sono frequenti provvedimenti disciplinari e gente che non viene chiamata a lavorare. Così ti fanno stare a casa senza pagarti. Così la minaccia del licenziamento funziona. Abbiamo fatto, con il blocco stradale, lotte dure, a cui i lavoratori sono costretti per forza di cose. Cioè, per come funziona la produzione nella logistica, l’unica azione che puoi fare è bloccare il flusso delle merci. I grandi marchi, l’eccellanza italiana nell’alimentare viene colpita nel vivo visto che ormai ogni azienda basa i suoi affari sul just in time. C’è un giro di lavoro nero che è incredibile. Noi abiamo fatto denuncia all’ispettarato in maggio e ancora stiamo aspettando il loro intervento.
Uno delle zone più sensibili, se così possiamo dire è l’interporto di Bologna…
All’interporto lavorano qualcosa come cinquemila lavoratori. Hai idea di tutti gli interporti sparsi in Italia? Nelle campagne ci sono questi grandi magazini isolati da tutto dove accadono le cose più impensabili lontano da ogni testimonianza. Come ti iscrivi al sindacato di base ti licenziano. E allora bisogna andare in massa con un pullmann a dare una mano per i blocchi. A Padova, pochi giorni fa, sapendo che arrivavamo hanno chiuso il magazzino il pomeriggio. In giro c’è un grande fermento,però. Il settore della logistica non subisce crisi, del resto. E’ il settore tra i più trainanti perché le merci si spostano in continuazione. Quasi ogni giorno all’interporto c’è un blocco. Approfittano del fatto che si tratta quasi esclusivamente di forza lavoro migrante, ricattati con il permesso di soggiorno. C’è gente che ha Cud di 3.000 euro con 12 ore di lavoro al giorno. Ti pare possibile?
Per il sindacalismo di base si sono aperte nuove opportunità?
Solo il Sì Cobas segue circa 400 cooperative. L’Adl Cobas ne ha altrettante, soprattutto nel Veneto e nel Friu li e nella zona di Milano, Lazio, Marche.
Come funziona la gestione reale dei lavoratori nelle coop?
La busta paga è fittizia e la metà delle ore vengono trasformate in rimborso così non ci sono versamenti contributivi di alcun genere. Attualmente ci sono grandi trattative in ballo. Alcuni sindacati di base stanno cercando di chiudere un accordo nazionale con i grandi committenti in cui viene contempolata l’applicazione del contratto nazionale, malattia e infortunio e non licenzmento al cambio appalto.


lunedì 2 dicembre 2013

MORTI SUL LAVORO TRA RETORICA E SFRUTTAMENTO ANCHE IN CASA NOSTRA

MORTI SUL LAVORO TRA RETORICA E SFRUTTAMENTO ANCHE IN CASA NOSTRA
 
La strage di Prato, con la morte di lavoratrici\lavoratori periti nell'incendio, era da tempo annunciata.
 
Ora tutti, dai partiti al sindacato, dalle istituzioni locali all'associazionismo, si ergono a paladini dei diritti dei lavoratori, contro lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù.
 
I 7 operai\e di origine cinese vivevano nel sottotetto del capannone industriale, una condizione diffusa nell'area pratese, pochi metri quadrati dove vivere in condizioni disumane, senza dignità , con orari lavorativi di 12\14 ore al giorno. Ogni azienda registrata alla camera di commercio dovrebbe essere controllata dalle autorità asl competenti in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, siamo certi che con i numeri attuali degli ispettori tutto ciò sia possibile?
 
Continue sono le pressioni per aggirare le normative in materia di sicurezza, soprattutto quando sono in gioco interessi nevralgici come quelli della manifattura. Sulle condizioni di semischiavitù degli operai cinesi sono in molti  a guadagnarci e non da oggi.
 
Spesso i migranti lavorano in queste condizioni per pagarsi il viaggio dai paesi di origine in Italia, i pochi guadagni vengono mandati "in patria", ma la maggior parte delle volte lavorano per conto di ditte italiane, magari le stesse che poi sui giornali vendono la retorica del made in italy, dei prodotti di qualità  realizzati nel rispetto dei diritti, quei diritti che gli imprenditori negano negli appalti, nei sub appalti, nella sterminata filiera produttiva.
 
Da qui nasce la retorica che alimenta il made in Italy, retorica che dimentica le condizioni di sfruttamento  di semischiavitù in cui vivono migliaia di lavoratori e lavoratrici che producono per conto delle multinazionali. E questa situazione non si verifica solo nel sud est asiatico e in Africa ma anche in casa nostra, negli slum e nei sobborghi dei paesi a capitalismo avanzato, nelle sedi della manifattura dove pagare due euro all'ora un lavoratore è diventata la regola per assicurare al prodotto una competitività sui mercati
 
La loro competitività è il nostro sfruttamento
 
COBAS LAVORO PRIVATO

martedì 26 novembre 2013

GENOVA PER NOI

Non se l’aspettavano. Governo, Comuni, Regioni, stati maggiori delle aziende del Trasporto Pubblico Locale (TPL), padroni e dirigenze aziendali di ogni settore credevano di averci addomesticati tutti.
E non se l’aspettavano nemmeno i sindacati ufficiali, che da tempo immemore esercitano il mestiere di farci ingoiare i rospi che le aziende gli comandano.

Non se lo aspettavano che gli autoferrotranvieri di Genova dessero vita a 5 giorni di sciopero a oltranza, a cortei con cui si sono presi la città e hanno messo sotto assedio sindaco e giunta comunale, mentre i sindacati ufficiali hanno dovuto fare buon viso a cattiva sorte, arrabattandosi tra la protesta dei lavoratori e la trattativa con Prefetto, Comune e Regione.
Oggetto di tutta la vicenda: la privatizzazione del trasporto pubblico (AMT, ora controllata da capitali pubblici, dopo essere stata già stata privatizzata per alcuni anni al capitale francese), come succede in tutte le aziende del TPL in Italia.
Cosa che comporta: cancellazione degli accordi integrativi, con la rapina di centinaia di euro in busta paga; assalto alle condizioni di lavoro; riduzione delle linee e delle corse; tagli all’occupazione; peggioramento del servizio rivolto ai cittadini.

Chiedete ai tranvieri fiorentini cosa ha significato l’acquisizione di Ataf, decisa dal sindaco Renzi, da parte di Busitalia insieme a Cap e Autoguidovie: disdetta degli integrativi aziendali (con buona pace di qualsiasi clausola di salvaguardia che in questi casi non può funzionare), esuberi e spacchettamento tra le società proprietarie (contro il quale la R.s.u. Ataf ha indetto uno sciopero di 24 ore per il 5 dicembre 2013).

A Genova gli autoferrotranvieri, già tartassati mesi fa con tagli in busta paga, stavolta hanno reagito: hanno iniziato a scioperare il 19 novembre e sono andati avanti negli scioperi fino al 23.
A loro si sono uniti i lavoratori dell’ASTER (manutenzioni stradali) e dell’AMIU (raccolta rifiuti).
Tutti hanno sfidato la legge n. 146 del 1990, una vergogna legislativa che rende lo sciopero un’arma spuntata: una legge che criminalizza i lavoratori quando intendono usare lo sciopero non come un episodio simbolico, ma per affermare davvero i loro diritti.

La cittadinanza di Genova ha capito la portata e il significato degli scioperi, solidarizzando fino in fondo con gli autoferrotranvieri e non lasciandoli soli di fronte alla rappresaglia spietata delle multe.

La lotta di Genova (lo spirito con cui lì si è deciso di non subire i miserabili progetti aziendali e di reagire a muso duro) invia un messaggio sul piano nazionale, non solo nel TPL ma anche in tutti i servizi pubblici e negli stessi luoghi di lavoro del settore privato.

Questo è vero anche dopo il contestato accordo siglato dai soliti sindacati, che prevede:
Lo stop solo per il momento della privatizzazione, ma prevede la concessione in appalto delle linee collinari, facendo quindi rientrare il privato dalla finestra,
una riduzione dei costi di gestione tramite una ristrutturazione del servizio, le cui modalità dovranno essere oggetto di trattative successive e che sicuramente andranno a colpire i lavoratori
Dà via libera alla Gara regionale mettendo così il TPL sul mercato, il che si traduce in tagli al servizio e al costo del lavoro, aumenti del costo del biglietto e rendita per il capitale privato. Un servizio pubblico, un bene comune che diventa strumento per arricchire pochi a discapito di tutti. E se le Ferrovie o altri privati volessero entrare nel TPL ligure, la gara è uno strumento perfetto.

Questo ha provocato critiche pesanti da parte di molti lavoratori che sono intervenuti in assemblea per respingere l’accordo e per chiedere che si votasse su scheda segreta, anziché per alzata di mano.
Ma i sindacati, fedeli alla loro natura arrogante, hanno imposto il voto palese, il quale, mentre per protesta molti lavoratori sono usciti dall’assemblea e non hanno nemmeno votato (così, i votanti sono stati solo 1450 su 2400), ha dato come risultato l’approvazione dell’accordo di stretta misura.

Ma non ci sono dubbi che questa vicenda pone all’ordine del giorno, per il mondo del lavoro sotto padrone, la necessità della lotta dura, se si vuole davvero che siano rispettati bisogni e diritti.
COBAS LAVORO PRIVATO

lunedì 25 novembre 2013

25 novembre 2013, giornata internazionale contro la violenza sulle donne: Una donna uccisa ogni due giorni non è una questione di ordine pubblico, ma una ferita aperta nella società civile.


1476844_10152074910664252_233436409_n Empoli – 25 novembre in piazza contro il femminicidio e la legge 119 Non in mio nome!
La Comunità in Resistenza di Empoli, aderisce alla giornata contro la violenza sulle donne, del 25 novembre. Diamo appuntamento davanti alla stazione di Empoli alle 18:30.


Geloso ha ucciso l’amante”, “Abbandonato ha ucciso l’ex moglie”, “Deluso ha ucciso la compagna”, “Delitto passionale”, “Delitto d’amore”, “Rapporto d’amore morboso”.

Ogni FEMMINICIDIO è etichettato quale raptus, cercando una sorta di giustificazione, a dire che in fondo “era un bravo ragazzo”, senza volere scoprire le cause che lo hanno originato.
Cause che possiamo ritrovare nella cultura nazionalista, sessista, razzista, in cui siamo immerse: che porta a uccidere perché “o mia o di nessuno”.
Nei primi sei mesi del 2013 sono state uccise 81 donne, di cui il 75% nel contesto familiare o affettivo.

Il 15 ottobre il governo ha approvato il decreto legge 119, che tratta anche di violenza sulle donne, ma che è impantanato in una logica emergenziale volta a chetare un clima di “allarme sociale” e a innescare “azioni straordinarie” di prevenzione.

Tutto il decreto si muove nello spazio dello scandalo e dell’eccezionalità muovendosi in direzione contraria rispetto al riconoscimento della quotidianità della violenza e alla necessità di forme di educazione e socializzazione che la riconoscano e la contrastino.
Non è un caso, dunque, che la soluzione proposta si concentri unicamente sul rafforzamento di misure punitive individuali.
Di fatto, la violenza di genere viene trattata come qualunque violenza criminale – in perfetta assonanza con lo stile di cronaca attraverso cui viene comunicata dai media.
La dinamica del raptus omicida si presenta come lo schema fisso in cui le donne sono trattate unicamente come l’oggetto e non come il soggetto della questione. La violenza, infatti, viene considerata come un problema di sicurezza e non di privazione della libertà, non tenendo conto degli ambiti strettamente connessi al femminicidio.

Violenza sulle donne è anche quella economica: la generale diffusione di forme di lavoro “deboli” come quello precario, che non comportano garanzie di diritti e la riduzione dei salari alle donne, mediamente pagate il 30% in meno dei loro colleghi maschi.
La combinazione di questi fattori porta alla dipendenza economica e sul piano pratico costituisce un’arma in più nelle mani di un marito, fidanzato, compagno violento per tenere ancorata a sé la propria vittima (“Ti sbatto fuori di casa!”) e avere un potere ulteriore su di lei.

Violenza sulle donne è anche quando si nega un’ educazione sessuale effettiva, metodi contraccettivi facili e rapidamente disponibili per tutti/e (basti pensare al rifiuto di prescrivere la “pillola del giorno dopo” o all’obiezione di coscienza per i farmacisti), il diritto ad un aborto sicuro.


Violenza sulle donne è anche quella che subiscono le migranti: quelle che si vedono costrette ad esercitare la prostituzione, quelle che subiscono in ambiente domestico e quelle violentate da parte dei poliziotti, nei CIE, autentici lager della democrazia, dove spesso vengono stuprate e picchiate se osano ribellarsi.

Occorrono, e con urgenza, finanziamenti ai centri antiviolenza, iniziative di sensibilizzazione e prevenzione che favoriscano la percezione delle donne non come vittime e soggetti deboli bisognosi di tutele, ma persone da sostenere contro antiche imposizioni patriarcali, in grado di autodeterminarsi e scegliere liberamente il proprio modo di vivere. 

Ci troverete lunedi 25 novembre davanti alla stazione di Empoli alle ore 18:30 per dare un segnale chiaro e ribadire che solo una cultura antirazzista, antifascista e non sessista può produrre un nuovo modo di pensare e vivere le relazioni fra i sessi.
Portiamo TUTT@ qualcosa di ROSSO.
Comunità in Resistenza Empoli

domenica 17 novembre 2013

L’ U R L O. Il 16 novembre un’altra giornata di lotta formidabile !

Dalla Terra dei Fuochi alla Val Susa , passando per Pisa e Parma, una marea umana  in piena si sta impegnando per costruire un’altra Italia , liberata dalla malavita politica e organizzata , dalle opere devastanti e mortali , dalla precarietà dell’esistenza , dall’essere esclusi e trattati al pari dei rifiuti.

Ben oltre 60.000 a Napoli . Un fiume in piena contro il “biocidio” che ha distrutto un intero  ecosistema e per fermare la strage degli innocenti, promossa da industriali e camorristi con il business delle discariche di rifiuti tossici  nella  Terra dei Fuochi. Questi criminali assassini vanno ricercati,stanati, perseguiti, per rendere - dopo il danno -  almeno giustizia al popolo inquinato e ai parenti delle vittime,  tramite bonifiche certe, rapide e gestite con il controllo popolare e  una congrua azione risarcitoria.
Ancora in 30.000 in Val Susa , per ribadire il rifiuto di un’opera inutile-costosa-dannosa, alla vigilia del vertice Italia-Francia con il quale la “ ragion di stato della Tav ad ogni costo” intende sfidare la volontà popolare. Importante la partecipazione  delle numerose delegazioni da ogni dove, tra cui spiccavano i NO Tav francesi, il movimento per il diritto all’abitare, i NO Muos ; soprattutto la delegazione aquilana, composta da cittadini e amministratori locali intesi a rafforzare con azioni concrete il gemellaggio tra questi 2 territori, che hanno espresso la volontà comune di “ lottare per la ricostruzione de L’Aquila  con i soldi destinati alla Tav”.
In tanti a Pisa per sostenere il diritto all’occupazione degli spazi, ad avere una sede pubblica per svolgervi attività socialmente utili, che il Comune e altre istituzioni continuano a negare  e/o a rimanere indifferenti a questa riconosciuta necessità.
Così come a Parma, dove si è bloccato l’avvio del famigerato inceneritore, contestato da gran parte della popolazione e per il quale la Rete Rifiuti Zero e il Forum Acqua hanno contribuito a dare vita a  due manifestazioni nazionali per impedirne l’apertura al gestore Hera.

A questo “ urlo tonante” che si è sentito in tutta Italia, i Cobas vi hanno preso parte con nutrite delegazioni, e si apprestano a farlo il 20 novembre a Roma (h 16, p.za Campo de Fiori, limitrofa all’ambasciata  francese) e negli appuntamenti vitali di questo scorcio di fine anno.
Una mobilitazione continua, sociale e popolare, che sta imprimendo priorità e ritmi molto diversi dalle scontate e stantie agende politico-governative.
Quando avviene che sono i movimenti sociali ad incalzare le istituzioni, si scatena un moto convettivo che contagia ovunque – oltre le città anche le periferie -  è il segnale distintivo che sta per accadere qualcosa di significativo , per cui vale la pena partecipare ed impegnarsi per riappropriarsi dei bisogni-diritti  negati , per imprimere una svolta nel Paese.